«Fino ad agosto si correva, poi hanno chiuso le fabbriche»
L’ad Sergio Barel: «Ora qualche schiarita sui volumi ma l’incognita è la Cina»
Almeno per i prossimi tre mesi quei componenti non ci servono più. La lettera arrivata qualche settimana fa sul tavolo di Sergio Barel è perentoria e lascia spazio a poche interpretazioni. «In effetti quello che è successo ha dell’incredibile - spiega l’amministratore delegato di Brovedani - perché fino ad agosto i clienti tedeschi ci hanno fatto correre. Poi hanno quasi chiuso le fabbriche».
Dallo scorso ottobre anche il gruppo friulano della componentistica, 120 milioni di ricavi e 1100 addetti, ha iniziato, così come tanti fornitori, a subire le conseguenze della crisi dell’auto tedesca, clienti che sul fatturato del gruppo pesano per oltre un terzo.
«Qualche ordine è stato cancellato - aggiunge - ma nella maggior parte dei casi è stato l’aggiornamento settimanale delle consegne a segnalarci i problemi. In più di un caso arrivava il nuovo programma, magari con volumi azzerati. La risposta? Alzi il telefono, chiami, e loro ti dicono: “grazie ma di quei componenti per ora non abbiamo bisogno”».
Per Brovedani il 2018 si chiude comunque con valori in crescita, tenendo conto dell’ampia diversificazione geografica dei ricavi del gruppo e di una frenata tedesca concretizzatasi comunque solo nell’ultima parte dell’anno.
«Alla fine del 2018 ho visto per noi dei cali del 10% - aggiunge Barel - ma ai componentisti tedeschi non è andata affatto meglio, anzi. Ho sentito parlare di riduzioni anche superiori al 20%, non solo l’Italia è rimasta spiazzata. Il problema vero oggi è avere però una visibilità chiara sul futuro, in un momento in cui le normative sulle emissioni vanno in direzioni opposte. L’Europa ha una direzione “green” evidente mentre Trump, cancellando le normative volute da Obama, di fatto sta bloccando i nuovi investimenti dando lavoro alle fabbriche tradizionali. Staremo a vedere. Anche se ho la sensazione che la crescita nel 2019 non arriverà dalla Germania».
Ora i clienti sembrano comunque dare indicazioni diverse e lo shock sui volumi pare superato, anche se il recupero non pare esplosivo. «Il primo trimestre sembra dare indicazioni migliori - aggiunge l’ad - e tuttavia non possiamo parlare di crescita vera. Anche perché il nodo non riguarda solo le fabbriche tedesche, ma più in generale la domanda in giro per il mondo. Alcuni prodotti che vendo formalmente alla Germania in realtà finiscono ad esempio in Cina, dove il mercato non sta certo andando bene. E questo in prospettiva rappresenta un problema serio».
Anche se rispetto agli standard a cui è abituata l’Europa il rallentamento del Pil cinese è del tutto relativo, il mercato dell’auto ha in effetti innestato lo scorso anno una inattesa retromarcia, chiudendo in calo per la prima volta da 20 anni. Con un poco incoraggiante -19% a dicembre.