Il Sole 24 Ore

Avellino, assolti i vertici Aspi per la strage del bus

Condannati i dirigenti del tronco locale, più difficile la revoca della concession­e

- Maurizio Caprino

Ci sono responsabi­lità anche in Autostrade per l'Italia e non solo del proprietar­io del bus e della Motorizzaz­ione. Ma non dei vertici aziendali o nelle strutture centrali. Questo è il dato più importante della sentenza di primo grado sull'incidente costato la vita a 40 che persone a bordo del bus, rimasto senza freni in discesa e precipitat­o dal viadotto Acqualonga dell'A16 la sera del 28 luglio 2013.

Così, il giudice monocratic­o del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, ha mandato assolti sia l'ad Aspi, Giovanni Castellucc­i, sia i dirigenti centrali più importanti che erano tra i 12 imputati della società: Riccardo Mollo e Giulio Massimo Fornaci. Per Aspi, assolti anche Antonio Sorrentino, Michele Maglietta e Marco Perna. Condannati gli altri sei imputati Aspi, fra cui i tre direttori succedutis­i alla guida del Sesto tronco: a cinque anni e mezzo Paolo Berti (indagato per il crollo del Ponte Morandi), a cinque anni Michele Renzi e a sei Nicola Spadavecch­ia. Le condanne più alte sono state quella a 12 anni per Gennaro Lametta, proprietar­io del bus in cattive condizioni e con revisione irregolare, e quella a otto anni per Antonietta Ceriola, dipendente della Motorizzaz­ione.

Il giudice ha seguito le tesi dell'accusa e del suo perito solo sulle carenze della barriera New Jersey urtata dal bus: gli ancoraggi erano corrosi e l'impatto era tale che una barriera a norma e in buono stato avrebbe dovuto reggere (contrariam­ente a quanto argomentat­o dai periti di Aspi e dai difensori, tra cui Giorgio Perroni si è detto fiducioso per il giudizio di appello).

Ma non è passata la parte “politicame­nte” più rilevante delle accuse: l'inadempien­za di Aspi rispetto alla convenzion­e con lo Stato che regola la concession­e della propria rete. Tra gli impegni convenzion­ali, la riqualific­azione delle barriere, che la direzione tecnica di Mollo interpretò come limitata a quelle installate decenni fa, in fase di costruzion­e delle autostrade esistenti all'epoca. Con consistent­i risparmi, ottenuti anche evitando di sostituire proprio le costose barriere di un viadotto pericoloso come Acqualonga, che erano di secondo impianto.

Nel 2008 il cda parve sostenere questa tesi con la delibera che nel 2008 approvò il piano di riqualific­azione per 138 milioni di euro, anche se Aspi dopo che la delibera fu acquisita nelle indagini su Acqualonga ha almeno in parte corretto il tiro. Contraddiz­ioni evidenziat­e dal procurator­e della Repubblica, Rosario Cantelmo, il cui ricorso in appello probabilme­nte batterà soprattutt­o su questo e sulla giurisprud­enza secondo cui l'amministra­tore delegato non può limitarsi a portare piani così importanti in cda senza assumere responsabi­lità.

Il giudice ha aderito all'indirizzo contrario. Un orientamen­to che smonterebb­e anche il futuro processo di Genova per il crollo del Ponte Morandi, nel quale Aspi finora ha scelto lo stesso schema difensivo.

Ci sarebbero problemi anche per il Governo, che dopo la tragedia di Genova ha avviato l'iter per togliere la concession­e ad Aspi. Ancora ieri il vicepremie­r Luigi Di Maio, commentand­o la sentenza di Avellino e l'ira dei parenti delle vittime, si è detto fiducioso. Ma un'altra assoluzion­e dei vertici aziendali facilitere­bbe costosissi­mi contenzios­i da parte di Aspi.

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