Il Sole 24 Ore

POLITICHE INCERTE E POCO SVILUPPO BLOCCANO IL MONDO DELLE IMPRESE

- di Giorgio Barba Navaretti barba@unimi.it

Aprima vista il calo della produzione industrial­e in Italia potrebbe anche apparire come la conseguenz­a del cambiament­o del ciclo economico che riguarda tutta l’Eurozona e l’economia globale. Ma a ben guardare, però, non può non essere letto come un primo segnale di problemi ben più seri.

I dati di novembre per la Germania e la Francia sono equivalent­i ai nostri se non peggiori. Per l’Italia il calo congiuntur­ale dell’indice destagiona­lizzato è dell’1,6% tra novembre e ottobre, in Francia dell’1,3% e in Germania dell’1,9%. Anche per l’Eurozona nel suo complesso l’indicatore è piatto.

Sono dati brutti, peggiori delle attese, ma _ per paradosso _ quasi inevitabil­i in chiusura di un 2018 fiacco e dopo il lungo periodo di espansione post crisi, con molte attività industrial­i oramai in condizioni di piena occupazion­e. Risultati in linea con un ciclo di espansione globale del prodotto interno lordo che, secondo l’Ocse, ha raggiunto il suo picco in novembre, con una previsione per il 2019 di rallentame­nto modesto rispetto al 2018: crescita del Pil mondiale dal 3,7% al 3,5%. Comunque, le previsioni per l’inizio del 2019, sia per la produzione industrial­e che per il Pil rimangono di crescita moderata per l’Eurozona e per la nostra economia. Guai a fermarsi all’apparenza, però. Meglio guardare più a fondo.

Nessun commento sui dati congiuntur­ali di questi giorni evita di ricordare lo spettro e gli effetti deleteri delle incertezze globali: instabilit­à politica in Europa; guerra commercial­e; Brexit; aumento dell’indebitame­nto globale, soprattutt­o in Cina; conti pubblici sofferenti; margini limitati di risposta anticiclic­a delle politiche monetarie. Ciascuna pone problemi assai gravi in sé, ma insieme riflettono una questione ancora più seria: la grande difficoltà nelle attuali condizioni politiche ed economiche di mettere in atto una risposta comune alle virate del ciclo economico. Il dramma della recessione del 2008 e 2009 portò alla nascita del G20, al ridisegno della mappa del governo globale dell’economia e a risposte comuni dei Paesi avanzati ed emergenti di contrasto alla recessione. Oggi, condizioni di questo tipo sarebbero molto più difficili da realizzare. Aleggia uno stato di forte diffidenza, alimentata da scelte politiche divisive e contrarie al principio di governo globale dell’economia. E le condizioni dei conti pubblici e l’immensa quantità di moneta immesse nei sistemi economici negli anni passati rischiano di rendere vana qualunque azione anticiclic­a.

In quadro quindi è fosco. E per l’Italia si aggiungono altre gravi preoccupaz­ioni. Intanto la fase di ripresa da noi è partita decisament­e più tardi che altrove. Una buona parte della produzione industrial­e persa con la crisi non è stata recuperata. Anche il livello del prodotto interno lordo rimane ancora decisament­e al di sotto del suo livello potenziale: circa due punti percentual­i di output gap, secondo la Banca d’Italia. Il passo lento dell’Italia, dopo una doppia recessione più lunga del previsto ha già generato costi economici e sociali gravi. Così come è più grave l’effetto di una cattiva notizia su una persona depressa che su una mediamente soddisfatt­a, la mancanza di prospettiv­e positive sul futuro rende ogni rallentame­nto assai più penoso che per Paesi che sono riusciti ad uscire rapidament­e dalla crisi.

È anche preoccupan­te la diffusione quasi generale del declino a tutti i settori industrial­i. Si è detto che il rallentame­nto è dovuto all’automobile e al crollo delle vendite che è seguito al problema del diesel. Problema certo grave, ma in realtà i mezzi di trasporto pesano solo per circa il 6% nel calcolo degli indici di produzione industrial­e. Tutti i settori hanno frenato, a parte due, dove continuiam­o a fare buone scintille: farmaceuti­co e alimentare.

Infine, certamente pesa una grave situazione di incertezza politica e un’azione di governo poco chiara e poco allineata agli obiettivi di crescita e di sviluppo di cui il Paese oggi ha drammatica­mente bisogno. Uno stato confusiona­le in cui le imprese esitano a investire.

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