POLITICHE INCERTE E POCO SVILUPPO BLOCCANO IL MONDO DELLE IMPRESE
Aprima vista il calo della produzione industriale in Italia potrebbe anche apparire come la conseguenza del cambiamento del ciclo economico che riguarda tutta l’Eurozona e l’economia globale. Ma a ben guardare, però, non può non essere letto come un primo segnale di problemi ben più seri.
I dati di novembre per la Germania e la Francia sono equivalenti ai nostri se non peggiori. Per l’Italia il calo congiunturale dell’indice destagionalizzato è dell’1,6% tra novembre e ottobre, in Francia dell’1,3% e in Germania dell’1,9%. Anche per l’Eurozona nel suo complesso l’indicatore è piatto.
Sono dati brutti, peggiori delle attese, ma _ per paradosso _ quasi inevitabili in chiusura di un 2018 fiacco e dopo il lungo periodo di espansione post crisi, con molte attività industriali oramai in condizioni di piena occupazione. Risultati in linea con un ciclo di espansione globale del prodotto interno lordo che, secondo l’Ocse, ha raggiunto il suo picco in novembre, con una previsione per il 2019 di rallentamento modesto rispetto al 2018: crescita del Pil mondiale dal 3,7% al 3,5%. Comunque, le previsioni per l’inizio del 2019, sia per la produzione industriale che per il Pil rimangono di crescita moderata per l’Eurozona e per la nostra economia. Guai a fermarsi all’apparenza, però. Meglio guardare più a fondo.
Nessun commento sui dati congiunturali di questi giorni evita di ricordare lo spettro e gli effetti deleteri delle incertezze globali: instabilità politica in Europa; guerra commerciale; Brexit; aumento dell’indebitamento globale, soprattutto in Cina; conti pubblici sofferenti; margini limitati di risposta anticiclica delle politiche monetarie. Ciascuna pone problemi assai gravi in sé, ma insieme riflettono una questione ancora più seria: la grande difficoltà nelle attuali condizioni politiche ed economiche di mettere in atto una risposta comune alle virate del ciclo economico. Il dramma della recessione del 2008 e 2009 portò alla nascita del G20, al ridisegno della mappa del governo globale dell’economia e a risposte comuni dei Paesi avanzati ed emergenti di contrasto alla recessione. Oggi, condizioni di questo tipo sarebbero molto più difficili da realizzare. Aleggia uno stato di forte diffidenza, alimentata da scelte politiche divisive e contrarie al principio di governo globale dell’economia. E le condizioni dei conti pubblici e l’immensa quantità di moneta immesse nei sistemi economici negli anni passati rischiano di rendere vana qualunque azione anticiclica.
In quadro quindi è fosco. E per l’Italia si aggiungono altre gravi preoccupazioni. Intanto la fase di ripresa da noi è partita decisamente più tardi che altrove. Una buona parte della produzione industriale persa con la crisi non è stata recuperata. Anche il livello del prodotto interno lordo rimane ancora decisamente al di sotto del suo livello potenziale: circa due punti percentuali di output gap, secondo la Banca d’Italia. Il passo lento dell’Italia, dopo una doppia recessione più lunga del previsto ha già generato costi economici e sociali gravi. Così come è più grave l’effetto di una cattiva notizia su una persona depressa che su una mediamente soddisfatta, la mancanza di prospettive positive sul futuro rende ogni rallentamento assai più penoso che per Paesi che sono riusciti ad uscire rapidamente dalla crisi.
È anche preoccupante la diffusione quasi generale del declino a tutti i settori industriali. Si è detto che il rallentamento è dovuto all’automobile e al crollo delle vendite che è seguito al problema del diesel. Problema certo grave, ma in realtà i mezzi di trasporto pesano solo per circa il 6% nel calcolo degli indici di produzione industriale. Tutti i settori hanno frenato, a parte due, dove continuiamo a fare buone scintille: farmaceutico e alimentare.
Infine, certamente pesa una grave situazione di incertezza politica e un’azione di governo poco chiara e poco allineata agli obiettivi di crescita e di sviluppo di cui il Paese oggi ha drammaticamente bisogno. Uno stato confusionale in cui le imprese esitano a investire.