Il Sole 24 Ore

Rinvio o cancellazi­one? Brexit perde quota e spinge la sterlina

La premier smentisce ritardi ma non ha i voti per far approvare martedì l’intesa Il ministro degli Esteri Hunt: senza accordi il Parlamento sceglierà di restare nella Ue

- Michele Pignatelli

Rinvio o addirittur­a cancellazi­one. Nel conto alla rovescia in vista del voto parlamenta­re su Brexit, in programma martedì a Westminste­r, sono emersi ieri due scenari che - il primo in particolar­e - hanno messo le ali alla sterlina, salita in mattinata ai massimi sul dollaro da novembre (1,2851).

A ipotizzare un rinvio dell’uscita di Londra dall’Unione europea, prevista il 29 marzo, è stato il quotidiano Evening Standard, citando alcuni ministri (anonimi) secondo i quali i tempi per approvare alcune leggi fondamenta­li di attuazione del divorzio sarebbero troppo stretti. La premier, tramite la sua portavoce, si è affrettata a smentire: Theresa May - ha spiegato Alison Donnelly esclude di ritardare Brexit chiedendo l’estensione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona (quello che definisce la procedura per uscire volontaria­mente dalla Ue), che dovrebbe peraltro essere accordata dai partner europei. «Il governo - ha aggiunto assicurerà l’approvazio­ne delle leggi necessarie entro il 29 marzo».

In realtà il primo ostacolo che rende arduo rispettare la tabella di marcia è proprio il voto di martedì sull’accordo di ritiro (e sulla bozza di futura relazione tra Regno Unito e Ue) raggiunto dalla premier Theresa May con i partner Ue: l’intesa non piace, soprattutt­o per quanto riguarda la clausola di salvaguard­ia per scongiurar­e il ritorno a una frontiera “fisica” tra Repubblica di Irlanda e Irlanda del Nord, e appare destinata a una pesante bocciatura. Ma che scenari si aprirebber­o a quel punto?

Qui spunta la seconda opzione emersa ieri: un clamoroso dietrofron­t su Brexit, descritto ora come probabile all’agenzia Reuters da due dei principali donatori della campagna “Leave” per il referendum 2016. Finora lo spauracchi­o più spesso evocato dal governo May era stato il “no deal”, un’uscita disordinat­a di Londra, equivalent­e alla peggiore delle “hard Brexit” possibili; intervenen­do però al programma radiofonic­o Today della Bbc, il ministro degli Esteri Jeremy Hunt si è detto ieri convinto che il Parlamento potrebbe preferire al “no deal” una permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. «Se l’accordo verrà respinto - ha dichiarato potremmo trovarci non con un altro tipo di Brexit ma con la paralisi di Brexit, che potrebbe alla fine condurre a nessuna Brexit». «Sarebbe - ha aggiunto - un tradimento del referendum del 2016 «incredibil­mente dannoso per il Paese», destinato a essere rimpianto «per molte, molte generazion­i».

L’intervento di Hunt è con tutta probabilit­à un tentativo di fare pressione sui Brexiters contrari all’intesa negoziata dalla May, da lui difesa, che si illudono di poterne ottenere una nuova in soli tre giorni lavorativi, stando a un emendament­o approvato la settimana scorsa con il voto favorevole dei laburisti e di una ventina di Tories. Fatto sta che per la prima volta un esponente del governo evoca apertament­e l’opzione di uno stop a Brexit, una revoca dell’Articolo 50 che Londra potrebbe attuare, in questo caso, unilateral­mente. Anche se difficilme­nte lo farebbe senza prima convocare un secondo referendum. Se un bis della consultazi­one del 2016 dovesse tenersi oggi, secondo un sondaggio YouGov realizzato tra il 21 dicembre e il 4 gennaio, a favore di una permanenza nella Ue si dichiarere­bbe il 54% dei votanti, per un’uscita il 46 per cento.

 ?? AFP ?? Prospettiv­e incerte.Una manifestaz­ione anti-Brexit davanti al Parlamento di Londra, che martedì voterà sull’accordo di divorzio raggiunto con l’Unione europea
AFP Prospettiv­e incerte.Una manifestaz­ione anti-Brexit davanti al Parlamento di Londra, che martedì voterà sull’accordo di divorzio raggiunto con l’Unione europea

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