Rinvio o cancellazione? Brexit perde quota e spinge la sterlina
La premier smentisce ritardi ma non ha i voti per far approvare martedì l’intesa Il ministro degli Esteri Hunt: senza accordi il Parlamento sceglierà di restare nella Ue
Rinvio o addirittura cancellazione. Nel conto alla rovescia in vista del voto parlamentare su Brexit, in programma martedì a Westminster, sono emersi ieri due scenari che - il primo in particolare - hanno messo le ali alla sterlina, salita in mattinata ai massimi sul dollaro da novembre (1,2851).
A ipotizzare un rinvio dell’uscita di Londra dall’Unione europea, prevista il 29 marzo, è stato il quotidiano Evening Standard, citando alcuni ministri (anonimi) secondo i quali i tempi per approvare alcune leggi fondamentali di attuazione del divorzio sarebbero troppo stretti. La premier, tramite la sua portavoce, si è affrettata a smentire: Theresa May - ha spiegato Alison Donnelly esclude di ritardare Brexit chiedendo l’estensione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona (quello che definisce la procedura per uscire volontariamente dalla Ue), che dovrebbe peraltro essere accordata dai partner europei. «Il governo - ha aggiunto assicurerà l’approvazione delle leggi necessarie entro il 29 marzo».
In realtà il primo ostacolo che rende arduo rispettare la tabella di marcia è proprio il voto di martedì sull’accordo di ritiro (e sulla bozza di futura relazione tra Regno Unito e Ue) raggiunto dalla premier Theresa May con i partner Ue: l’intesa non piace, soprattutto per quanto riguarda la clausola di salvaguardia per scongiurare il ritorno a una frontiera “fisica” tra Repubblica di Irlanda e Irlanda del Nord, e appare destinata a una pesante bocciatura. Ma che scenari si aprirebbero a quel punto?
Qui spunta la seconda opzione emersa ieri: un clamoroso dietrofront su Brexit, descritto ora come probabile all’agenzia Reuters da due dei principali donatori della campagna “Leave” per il referendum 2016. Finora lo spauracchio più spesso evocato dal governo May era stato il “no deal”, un’uscita disordinata di Londra, equivalente alla peggiore delle “hard Brexit” possibili; intervenendo però al programma radiofonico Today della Bbc, il ministro degli Esteri Jeremy Hunt si è detto ieri convinto che il Parlamento potrebbe preferire al “no deal” una permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. «Se l’accordo verrà respinto - ha dichiarato potremmo trovarci non con un altro tipo di Brexit ma con la paralisi di Brexit, che potrebbe alla fine condurre a nessuna Brexit». «Sarebbe - ha aggiunto - un tradimento del referendum del 2016 «incredibilmente dannoso per il Paese», destinato a essere rimpianto «per molte, molte generazioni».
L’intervento di Hunt è con tutta probabilità un tentativo di fare pressione sui Brexiters contrari all’intesa negoziata dalla May, da lui difesa, che si illudono di poterne ottenere una nuova in soli tre giorni lavorativi, stando a un emendamento approvato la settimana scorsa con il voto favorevole dei laburisti e di una ventina di Tories. Fatto sta che per la prima volta un esponente del governo evoca apertamente l’opzione di uno stop a Brexit, una revoca dell’Articolo 50 che Londra potrebbe attuare, in questo caso, unilateralmente. Anche se difficilmente lo farebbe senza prima convocare un secondo referendum. Se un bis della consultazione del 2016 dovesse tenersi oggi, secondo un sondaggio YouGov realizzato tra il 21 dicembre e il 4 gennaio, a favore di una permanenza nella Ue si dichiarerebbe il 54% dei votanti, per un’uscita il 46 per cento.