Maxi-fiera specchio del mercato: stabili i buyer esteri, in calo l’Italia
L’appuntamento di Firenze si conferma strategico come vetrina internazionale per i brand Tra i grandi assenti i compratori cinesi e francesi, come i negozianti italiani «distratti» dal periodo dei saldi
L’asse Firenze-Milano si conferma strategico per consolidare la leadership mondiale dell’industria italiana della moda maschile. Non solo dal punto di vista mediatico, come ha testimoniato l’indagine della società Launchmetrics, ma anche da quello del business. È così che l’edizione 95 della fiera Pitti Uomo passa la scena al calendario milanese, partito ieri sera con l’evento inaugurale della Camera della Moda e con la sfilata di Zegna (si vedano gli articoli a pagina 22), condividendo l’obiettivo di rivitalizzare e spingere un settore che in questo avvio d’anno non appare particolarmente brillante.
Mai come in questa edizione Pitti Uomo è stata lo specchio del mercato: stabili i compratori esteri, in calo (dell’8%) quelli italiani. Nei quattro giorni del salone di Firenze, che ha presentato le collezioni per l’autunno-inverno 2019-20 di 1.230 marchi (per il 46% stranieri), i buyer hanno sfiorato quota 24mila, in calo di oltre un migliaio rispetto a un anno fa: il 37% (circa 9mila) è arrivato dall’estero, il resto dall’Italia.
I grandi assenti sono stati i cinesi e i francesi. «Di cinesi se ne sono visti pochi - spiega Marco Landi, produttore di abbigliamento di Empoli al Pitti Uomo con i marchi di famiglia 070 Studio, Giancarlo Rossi e L’impermeabile -, ma del resto i gruppi di cinesi che si presentavano negli stand qualche anno fa sono ormai scomparsi. In compenso c’erano coreani e giapponesi con più o meno voglia di comprare». Anche perché, aggiunge Landi, il processo d’acquisto si è fatto più lungo e selettivo: prima si guarda la collezione al Pitti Uomo, poi si ritorna in showroom, poi si chiede al distributore o all’agente.
Gli altri grandi assenti in fiera sono stati i francesi (-11%), con un calo tanto più significativo visto il peso che quel mercato ha per i produttori italiani: la protesta dei gilet gialli e l’impatto che questa sta avendo sui consumi del Paese sono stati uno dei motivi di discussione più ricorrenti tra gli stand del Pitti. «I compratori francesi non si sono proprio visti - conferma Giuseppe Rossi di Pineider, storico marchio fiorentino di pelletteria e articoli per la scrittura di fascia alta - e anche quelli tedeschi sono stati pochi. I buyer importanti di Giappone e Corea invece c’erano tutti, così come c’è stata una grande presenza di e-tailer». «I compratori importanti c’erano», aggiunge Franco Loro Piana, al Pitti col nuovo marchio Sease, per il quale sta costruendo la rete distributiva.
Nell’altalena di mercati che salgono e scendono, il Pitti Uomo ha segnato rosso anche per i russi e per gli inglesi («ma il calo è stato meno forte di quanto la Brexit lasciasse immaginare», affermano da Pitti Immagine indicando - 5%). Senza sussulti gli americani, anche se molti marchi hanno indicato gli Usa come mercato in decisa ripresa. In forte contrazione gli italiani, poco stimolati dalla debolezza dei consumi e dunque dagli scaffali pieni di merce: «Anche perché i negozianti italiani in questi giorni sono impegnati con i saldi - afferma Landi -. Dopo il caldo dei mesi scorsi, è l’unico periodo in cui stanno vedendo i clienti. Bisognerebbe ripensare le date dei saldi spostandole in avanti».
Per gli organizzatori di Pitti Immagine il bilancio è nel complesso positivo. I visitatori totali hanno raggiunto quota 36mila, con ricadute milionarie sul territorio, e il salone ha dato «una straordinaria rappresentazione del grande lavoro che le aziende di moda stanno facendo per migliorarsi, dall’ideazione alla progettazione, dalla produzione alla presentazione delle collezioni» afferma Raffaello Napoleone, ad di Pitti Immagine. E aggiunge: «Se penso a questo e al valore che Pitti Uomo rappresenta, qualche punto percentuale di compratori in meno è l’ultima cosa che mi preoccupa».