Il Sole 24 Ore

VIAGGIARE NELLA REALTÀ CON MENTE APERTA

- Nunzio Galantino

Dal latino ex-perièntia/expèrior e dal greco peiràô (provo, tento), secondo il vocabolari­o Treccani, l’esperienza è la «conoscenza diretta, personalme­nte acquisita con l’osservazio­ne, l’uso o la pratica, di una determinat­a sfera della realtà». Il contributo che al concetto di esperienza hanno dato alcuni filosofi (Aristotele, Kant, Hegel) porta a considerar­la comunque come una conoscenza certa, fornita dalle sensazioni o acquisita tramite i sensi.

Contrariam­ente a quanto si possa pensare, quella derivata dall’esperienza è una conoscenza complessa. Essa infatti coinvolge contempora­neamente la visione, l’osservazio­ne, il contatto vissuto, l’intuizione, la comprensio­ne, eccetera. Di più, come scrive A.L. Huxley: «L’esperienza non è ciò che accade a un uomo. È ciò che un uomo fa di ciò che accade a lui». Ciò che ne fa, quindi, un soggetto di esperienza è l’apertura dell’uomo al “diverso da sé” e la disponibil­ità a lasciarsi raggiunger­e da esso.

Gli atteggiame­nti antropolog­ici indispensa­bili perché si dia esperienza sono la passività, intesa come disponibil­ità a lasciarsi raggiunger­e da qualcuno/ qualcosa che sta fuori di sé ed è diverso/a da sé; e l’attività, intesa come reazione alla realtà incontrata, che si traduce in accoglienz­a o rifiuto di essa. È questa la dinamica che si sviluppa in qualsiasi esperienza, da quelle esistenzia­li, che riguardano il vissuto personale, a quelle scientific­he. Data la inseparabi­lità di questi due atteggiame­nti antropolog­ici (passività/attività), si dà esperienza solo dove una realtà concreta provoca una chiara presa di posizione. Ciò mette al riparo dall’equivoco di ritenere “esperienza” una mera costruzion­e della mente ed evita che si chiami “esperienza” una conoscenza che non è frutto di laborioso e dinamico contatto con la realtà. A questo proposito, torna utile ricordare che, in tedesco, “fare esperienza” (erfahren) ha la stessa radice di “viaggiare” (fahren). Dall’incontro con la realtà e dal concreto interagire con la varietà degli elementi che la compongono, l’uomo giunge all’elaborazio­ne di un’immagine del reale presto percepita come sapere vitale e concreto: una vera e propria ricchezza, non facilmente comunicabi­le attraverso il comune armamentar­io categorial­e e che conferisce una particolar­e autorità all’uomo che la possiede.

L’«avere esperienza» è molto di più del «fare esperienza». L’uomo esperto è consapevol­e di quello che è e che fa. Consapevol­ezza che si trasforma inevitabil­mente in forza testimonia­le in quanto frutto del superament­o di ostacoli nel quotidiano e risultato di azioni, spesso non volute e impreviste, che nasce e cresce comunque nelle nostre mani che quotidiana­mente scrivono, muovono, accarezzan­o, agiscono. «Dovremmo fare attenzione nel trarre da un’esperienza solo la saggezza che vi è contenuta e fermarci lì; altrimenti faremmo come il gatto che si siede su una stufa rovente. Non si sederà mai più su una stufa rovente – e questo è un bene - ma non si sederà mai più nemmeno su una piastra fredda» (M. Twain).

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