Gli Stati uniti dalle donne
Una grande mostra al MIC di Faenza illustra, con reperti originali e mezzi multimediali, arte, cultura e società espresse dalle civiltà Azteca, Maya e Inca
Anche se da qualche tempo in Europa e negli Stati Uniti le esposizioni a carattere etnoantropologico tendono spesso a mettere a fuoco una singola cultura, la mostra del MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche) di Faenza va orgogliosamente contro questa tendenza e presenta gli elementi salienti delle diverse culture delle due regioni più importanti dell’America preispanica: la Mesoamerica e l’Area Peruviana.
Coerentemente con questa impostazione, il visitatore si immerge all’interno di queste aree e vede i reperti che raffiguravano gli animali delle foreste e dei mari e le piante che erano alla base dell’alimentazione, scoprendo che alcuni prodotti, in genere considerati italiani o europei, come i pomodori, i peperoni e le patate sono originari del Nuovo Mondo e sono arrivati nel Vecchio solo dopo il 1492.
Parallelamente vede che per molti aspetti (la stratificazione sociale, le guerre di conquista, ecc.) le società della Mesoamerica e dell’Area Peruviana non erano molto diverse da quelle europee, mentre per altri (la religione, ad esempio) avevano seguito percorsi molto differenti.
L’esposizione di Faenza, però, si caratterizza anche per una serie di sezioni monotematiche. In particolare, a partire dalla convinzione che le mostre non devono rappresentare l’equivalente di un manuale di storia dell’arte o di archeologia, ma devono servire a informare in modo piacevole, alcuni di questi temi sono presentati con supporti informatici che consentono ai visitatori di “giocare” e familiarizzarsi con questioni molto complesse. Ad esempio, per la prima volta in Europa e, forse, al mondo, in una mostra si dà al visitatore la possibilità di digitare la sua data di nascita o una qualunque altra data e di vederla trasformata in una stele virtuale, che la presenta nei calendari maya coi glifi e coi numeri maya.
Con la stessa logica, accanto a una yupana, un abaco che assomiglia vagamente a una scacchiera, sono collocati una tastiera e un video che mostrano la versione “immateriale” dell’oggetto e permettono poi di fare i conti come li facevano gli Inca.
Ma se il calendario maya e i sistemi di calcolo dell’antico Perù possono essere considerati temi di nicchia, si deve dire che nelle altre sezioni monotematiche del percorso espositivo sono affrontati temi di grande interesse: la scrittura, il gioco della palla, l’arte e la condizione della donna.
Nella sezione della scrittura si spiegano le diverse forme di scrittura della Mesoamerica, sono tradotti i testi dei vasi maya esposti e si chiarisce che nell’Area Peruviana non ci sono tracce di sistemi di scrittura vera e propria, dato che i quipu, fino a prova contraria, erano solo strumenti mnemotecnici.
Nella sezione del gioco della palla sono presentati i paraphernalia del gioco, che, in realtà, era un rituale di grande importanza, ed è proiettato un video che fa vedere come si giocava.
Affrontando l’arte, la mostra fa una cosa che in Italia è una grande novità, perché entra nel campo della tematica delle attribuzioni e presenta alcuni capolavori come arte e non solo come archeologia, indicando, dove possibile, le scuole e i maestri che li hanno realizzati (e qui è importante specificare che la scuola e il maestro di un vaso maya e di una bottiglia Moche sono stati scoperti proprio in occasione della mostra durante le ricerche che l’hanno preceduta).
Tuttavia, per quanto l’arte e il gioco della palla o la scrittura possono essere temi di notevole appeal, non c’è dubbio che la sezione di maggiore interesse è quella sulla condizione della donna.
A dir il vero, essa non è stata fatta per rendere omaggio a un tema di moda, ma perché effettivamente gli studi di genere che si sono sviluppati negli ultimi anni hanno portato a una nuova visione, che era semplicemente impensabile prima che maturasse questa nuova sensibilità.
Il dato più sorprendente è che nella società azteca, che collocava i guerrieri al vertice della scala sociale, le donne non erano relegate dentro casa, ma potevano «fare il medico» e avevano una relativa indipendenza e un ruolo importate in alcuni rituali, soprattutto in occasione dei matrimoni. Sul piano ideologico, inoltre, è importante ricordare che alcune delle divinità principali erano contemporaneamente maschili e femminili e che le donne morte di parto, le Cihuateteo (Donne Sacre, Donne Dee), erano divinizzate e occupavano un ruolo quali analogo a quello dei guerrieri morti in battaglia.
Nella società maya, inoltre, secondo quanto riferisce il vescovo Diego de Landa, non solo la residenza era matrilocale, ma il giovane sposo doveva lavorare per il suocero per cinque o sei anni, mentre la sposa, oltre a occuparsi dei figli e della casa, poteva pagare i tributi, portare al mercato i suoi tessuti e, se necessario, lavorare nei campi o farsi carico della gestione delle terre.
Nell’Area Peruviana, sono emersi dati ancor più sorprendenti, perché, anche se il maschilismo della società inca non è stato messo in discussione, la scoperta di tombe di donne Moche e Lambayeque con corredi funerari di sorprendente ricchezza e una rilettura attenta di alcune fonti etnostoriche dimostrano che presso alcune etnie della Costa Nord le donne avevano posizioni di potere non in quanto spose di sovrani, ma perché avevano un ruolo in proprio, autonomo e personale, all’interno delle loro società.
Le ricerche future diranno se esisteva un vero e proprio matriarcato. Qualora fosse vero, sarebbe uno dei due o tre casi documentati scientificamente da ricerche etnografiche e archeologiche moderne.