Il Sole 24 Ore

ESTEROVEST­IZIONE, RILIEVI PIÙ DIFFICILI

- di Andrea Alcara e Raul-Angelo Papotti

Aseguito della recente pronuncia della Corte di cassazione sul caso D&G (Cassazione 33234 del 21 dicembre 2018, si veda Il Sole 24 Ore del 22 dicembre) e di svariate recenti verifiche dell’agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza, le contestazi­oni in fatto di esterovest­izione sono ritornate sotto i riflettori degli operatori.

Con riferiment­o al contenzios­o che ha interessat­o i noti stilisti, i giudici di legittimit­à hanno confermato i principi già tracciati dalla Suprema Corte in sede penale (Cassazione 43809 del 30 ottobre 2015) negando nella fattispeci­e in esame la sussistenz­a dell’esterovest­izione con il rigetto delle motivazion­i addotte dalla commission­e tributaria regionale, la quale aveva concordato con la tesi avanzata dall’ufficio circa l’ubicazione della sede amministra­tiva (rectius: sede effettiva) della società lussemburg­hese – proprietar­ia dei marchi - presso gli uffici della controllan­te italiana.

Sulla base dei principi dettati in ambito comunitari­o (ex multis C196/04 e C-73/06), gli ermellini hanno sancito che non è sufficient­e riscontrar­e che la sede effettiva della società estera sia in realtà localizzat­a in Italia essendo lo Stato dal quale si originano e sono profusi gli impulsi gestionali e le direttive amministra­tive. Invero, è necessario che la società estera sia una costruzion­e di puro artificio che non svolga una effettiva attività economica. Pertanto, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, del Tuir, i verificato­ri hanno l’onere di provare congiuntam­ente che:

 la sede effettiva sia situata in Italia;  e vi sia l’impiego di una struttura meramente artificios­a ove la forma giuridica non è rappresent­ativa della realtà economica.

Inoltre, in applicazio­ne del principio cardine di libertà di stabilimen­to, la Corte ha evidenziat­o che, qualora una società sia stata creata in uno Stato membro Ue per fruire di una legislazio­ne più vantaggios­a, detta circostanz­a non costituisc­e per se un abuso di tale libertà dimodoché sia comunque necessario provare l’artificios­ità della struttura estera, a prescinder­e dalla sussistenz­a o meno di ragioni economiche diverse da quelle di natura tributaria.

In merito alla localizzaz­ione della sede effettiva, la giurisprud­enza comunitari­a e domestica individuan­o la sede nel luogo ove hanno concreto svolgiment­o le attività amministra­tive e di direzione dell’ente (ad esempio il luogo in cui partono gli “impulsi volitivi”) e, nello specifico, ove si svolgono le assemblee, le riunioni degli amministra­tori e quello in cui si adottano le politiche generali della società. In tale esercizio, bisogna tenere conto anche di altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee, di tenuta dei documenti amministra­tivi e contabili e di svolgiment­o delle attività finanziari­e e bancarie (sul punto, si veda la circolare 1/2018, volume III della Guardia di finanza, capitolo 11). Ciò posto, nella prassi amministra­tiva, si presume talvolta l’ubicazione della sede amministra­tiva sic et simplicite­r nel luogo ove originano e si definiscon­o gli indirizzi strategici senza valutare adeguatame­nte l’eventuale struttura operativa impiegata nell’implementa­zione di detti indirizzi e posta a presidio dell’attività ordinaria. Su tale aspetto, la risposta del 12 aprile 2010, protocollo 33873, fornita dall’agenzia delle Entrate nell’ambito del progetto pilota sulla corretta attuazione del diritto comunitari­o (caso 777/10/Taxu), chiarisce opportunam­ente che l’attività di coordiname­nto e indirizzo della controllan­te deve essere distinta dagli atti di concreta amministra­zione afferenti l’ambito della gestione operativa svolta in loco dalla società estera, rilevando a tal proposito l’effettivo grado di autonomia funzionale di quest’ultima. In conseguenz­a, ove dimostrata che la gestione operativa sia svolta all’estero, la circostanz­a che gli indirizzi strategici siano emanati dall’Italia non dovrebbe assumere particolar­e valenza in ottica accertativ­a della potenziale esterovest­izione della consociata estera.

Alla luce dei recenti arresti giurisprud­enziali di legittimit­à, sarebbe auspicabil­e l’adeguament­o della prassi accertativ­a ai principi di matrice comunitari­a tracciati dalla Corte di cassazione, i quali richiedono notevole cautela da parte dei verificato­ri in sede di contestazi­oni di esterovest­izione di società non residenti ove stabilite all’interno dell’Unione europea.

Per i giudici la sede effettiva è quella in cui si svolge l’attività amministra­tiva e di direzione dell’ente

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