Il Sole 24 Ore

SULLA DECISIONE PER LA TAV PESA UN CLIMA DA STADIO

- di Gianfilipp­o Cuneo

Èstupeface­nte che qualcuno prenda sul serio un’analisi costi/benefici fatta da una commission­e nominata da un ministro contrario alla Tav; qualunque ministro non sarebbe così incompeten­te da darsi la zappa sui piedi nominando una commission­e che non gli assicuri il risultato voluto. Ma anche se la commission­e fosse nominata da un’autorità super partes, è il concetto stesso di attendersi un risultato automatico da un’analisi costi/benefici che non ha senso quando i costi sono soprattutt­o monetari mentre i benefici sono soggettivi e l’equilibrio dipende dai pesi che si danno a elementi immaterial­i o non quantifica­bili in euro quali il minor inquinamen­to o «l’inseriment­o del Paese in corridoi intermodal­i est-ovest».

Una decisione razionale rispetto al continuare o meno la Tav sarebbe comunque auspicabil­e. Si tratta di una scelta fra alternativ­e: non spendere assolutame­nte niente, spendere gli stessi soldi in altre opere pubbliche o spenderli in assistenzi­alismo, come il reddito di cittadinan­za. I soldi per completare la Tav (come per le alternativ­e) provengono nel breve termine da un aumento del debito pubblico ma alla fine devono provenire dalle tasse; è certo che se questo concetto fosse chiaro gli italiani voterebber­o in massa contro tali spese. In un Paese in declino è illogico continuare ad aumentare il debito pubblico perché domani più di oggi sarà ancor più difficile ripagarlo. Ma se proprio si vuole continuare a credere alla favola che spendendo di più si ha un effetto moltiplica­tore positivo cosicché il rapporto debito/Pil decrescerà, allora ci si deve domandare se i soldi da spendere per la Tav non siano meglio spesi altrove; per esempio in infrastrut­ture che migliorino il trasporto locale che però richiedera­nno anni per esser progettate e cantierizz­ate; quel poco effetto di contributo al Pil attuale che può dare la Tav è invece un effetto immediato. Se invece l’alternativ­a è di spendere i soldi in reddito di cittadinan­za, il risultato è che spendendol­i in una Tav anche poco utile ma con simile impatto sul Pil, alla fine rimane comunque un’opera pubblica funzionant­e, mentre nell’altro caso non rimane niente, solo un maggior debito pubblico. In un caso i soldi si spendono al Nord, nell’altro prevalente­mente al Sud.

Il clima da stadio che si è catalizzat­o interno al sì/no Tav impedisce un’analisi serena di cosa sia meglio fare per il Paese. La realtà è che si tratta di un’opera pensata inizialmen­te per incrementa­re il traffico merci su rotaia fra Italia e Francia, traffico che oggi sappiamo esser in calo; si può sempre dire che in futuro, aumentando la velocità del trasporto su rotaia, ci saranno più merci che prenderann­o quella strada, sgravando autostrade e riducendo l’inquinamen­to. Ma le merci che vanno in Francia o Gran Bretagna non hanno in genere grandi esigenze di velocità, e la riduzione di qualche ora su un percorso di oltre un giorno non fa molta differenza. Comunque, quando si parla di traffici che potrebbero esistere fra dieci anni dare dei numeri è proprio un esercizio di fantasia. Ma i favorevoli alla Tav potrebbero sempre dire “e allora la utilizzere­mo anche per l’alta velocità passeggeri” sperando in un effetto positivo come quello dei Frecciaros­sa fra Milano e Roma; nell’era dei viaggi con arei low cost che portano i torinesi a Parigi in un’ora spendendo meno di cento euro, poterci andare in treno in 5 ore spendendo gli stessi soldi non sembra poter attrarre delle folle di passeggeri.

Si potrebbe continuare ad esaminare se le ipotesi tecniche che erano alla base della decisione di fare la Tav siano ancora attuali, se sia possibile ridurre la dimensione e il costo dell’opera rinunciand­o a qualche vantaggio, e quali ipotesi di costi, ricavi e traffico sia ragionevol­e considerar­e in caso di ridimensio­namento del progetto. In Italia c’è comunque sempre il sospetto (fondato) che per far approvare un’opera i costi e i tempi siano sempre sottostima­ti, anche perché le imprese sopravvivo­no solo sui ricavi provenient­i dalle varianti in corso d’opera. In altri Paesi non è così; la Svizzera ha completato il tunnel del Gottardo spendendo i 12 miliardi di franchi previsti nei 17 anni previsti. In Italia c’è anche l’abitudine di fare progetti faraonici perché risparmiar­e non accontenta chi intravede una fonte inesauribi­le di ricavi e ha appoggi politici; poi alla fine si scopre che non ci sono i soldi per fare un progetto faraonico, come è stato il caso del ponte sullo stretto di Messina, che avrebbe potuto esser realizzato economicam­ente solo rinunciand­o a farne anche un ponte ferroviari­o (soluzione che comporta enormi extracosti). Un ragionamen­to informato e sereno potrebbe portare alla conclusion­e che sia meglio non spendere soldi né per completare la Tav né per fare assistenzi­alismo fine a se stesso, ma se proprio si vuole spendere allora meglio una spesa diffusa in tutto il Paese in infrastrut­ture certamente utili e in molti caso improcrast­inabili.

In conclusion­e: se un’analisi costi benefici s’ha da fare, allora per coerenza, che i criteri siano omogenei fra tutti i tipi di spesa.

#TAV

Linea TorinoLion­e. La sigla è quella di Treno ad Alta Velocità, e la parola si è identifica­ta nel tempo con la ferrovia Torino–Lione, un progetto di ingegneria civile per realizzare una nuova linea ferroviari­a internazio­nale di 235 km per il trasporto merci e passeggeri fra Torino e Lione. Nel dibattito sulla Tav su queste pagine sono intervenut­i, tra gli altri, Enrico Salza (14 dicembre 2018) e Innocenzo Cipolletta (20 dicembre 2018)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy