Per l’industria conti record «No a misure pregiudiziali»
Presentato il Rapporto Nomisma Industria 2030 sulla farmaceutica italiana Scaccabarozzi: primi segnali di rallentamento Chiesi: ora regole condivise
«I dati sono da record, i 31 miliardi di ricavi celebrano il valore dell’industria italiana. È importante che non vi siano misure pregiudiziali nei confronti di questo settore». Lo ha detto il presidente di Farmindustria Scaccabarozzi commentando i dati del Rapporto Nomisma.
Grandi muscoli e risultati d’eccellenza. Ma il futuro sarà pieno di incognite, in assenza di un quadro normativo stabile e di una strategia industriale condivisa per il Paese. Export da record (24,8 miliardi), ricavi in salita (11 miliardi), occupazione in aumento costante (+8% nel 2015-17), investimenti in ricerca e sviluppo che nel 2018 hanno superato il miliardo di euro passando dai 552 milioni del 2013 ai 906 del 2017 (+39%). È a partire dall’orgoglio per i traguardi centrati negli ultimi dieci anni che l’industria farmaceutica italiana lancia l’allarme sulla possibilità che il prossimo decennio sia ben meno roseo. «Anche nel 2018 cresciamo restando anticiclici — spiega Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria — ma non cresciamo come prima, a guardare i dati del primo semestre su produzione e occupazione».
Tutti concordi i principali attori delle 13 farmaceutiche a capitale italiano aderenti a Farmindustria (le “Fab13”) che ieri a Roma hanno presentato il Rapporto Nomisma «Industria 2030, La farmaceutica italiana e i suoi campioni alla sfida del nuovo paradigma manifatturiero». Abiogen Pharma, Alfasigma, Angelini, Chiesi, Dompé, Ibn Savio, Italfarmaco, Kedrion, Mediolanum, Menarini, Molteni, Recordati e Zambon chiedono «politiche industriali condivise e un quadro normativo stabile, per non essere costrette a percorrere processi di delocalizzazione».
Il mercato italiano, affetto da crescenti criticità produttive, colpito da un’ondata di scadenze di brevetti che ha ridotto i ricavi mentre salivano i costi e caratterizzato da incertezze regolatorie e fiscali, continua a mettere a dura prova la sostenibilità delle imprese. «Servono politiche coerenti e una visione — afferma Sergio Dompé, presidente e Ceo della Dompé. — Abbiamo impiegato 25 anni per riportare a casa un settore che avevamo perso. Un settore d’eccellenza. Ora dobbiamo chiederci che cosa farà il nostro Paese in futuro».
Tra i principali motivi di preoccupazione c’è la nuova governance del farmaco, presentata a dicembre dal ministro della Salute Giulia Grillo. «Come aziende italiane — avverte Alberto Chiesi, presidente del gruppo Chiesi — avremo sicuramente danni: chiediamo soluzioni che contemperino le esigenze del governo e le nostre». Il nodo è l’equivalenza terapeutica: «Se non è riconosciuta a livello scientifico internazionale, rappresenta un rischio sia per l’industria che per i pazienti», conclude Chiesi.
«Dal primo euro investito nella ricerca su un nuovo prodotto alla prima fattura passano 12 anni — ricorda Francesco De Santis, presidente dell’Italfarmaco — e se cambiano le regole in corsa diventa molto difficile competere».
Traballano le basi di una fedeltà al Paese che caratterizza il capitalismo familiare nostrano. «Abbiamo creato un modello di sviluppo italiano realizzando una crescita internazionale senza delocalizzazione e al contrario portando nel Paese produzioni che erano all’estero — spiega Lucia Aleotti, presidente di Menarini. — Il governo, quando avrà occasione di incontrarci, sarà felice di questi risultati.