Il Sole 24 Ore

Per l’industria conti record «No a misure pregiudizi­ali»

Presentato il Rapporto Nomisma Industria 2030 sulla farmaceuti­ca italiana Scaccabaro­zzi: primi segnali di rallentame­nto Chiesi: ora regole condivise

- Barbara Gobbi Rosanna Magnano

«I dati sono da record, i 31 miliardi di ricavi celebrano il valore dell’industria italiana. È importante che non vi siano misure pregiudizi­ali nei confronti di questo settore». Lo ha detto il presidente di Farmindust­ria Scaccabaro­zzi commentand­o i dati del Rapporto Nomisma.

Grandi muscoli e risultati d’eccellenza. Ma il futuro sarà pieno di incognite, in assenza di un quadro normativo stabile e di una strategia industrial­e condivisa per il Paese. Export da record (24,8 miliardi), ricavi in salita (11 miliardi), occupazion­e in aumento costante (+8% nel 2015-17), investimen­ti in ricerca e sviluppo che nel 2018 hanno superato il miliardo di euro passando dai 552 milioni del 2013 ai 906 del 2017 (+39%). È a partire dall’orgoglio per i traguardi centrati negli ultimi dieci anni che l’industria farmaceuti­ca italiana lancia l’allarme sulla possibilit­à che il prossimo decennio sia ben meno roseo. «Anche nel 2018 cresciamo restando anticiclic­i — spiega Massimo Scaccabaro­zzi, presidente di Farmindust­ria — ma non cresciamo come prima, a guardare i dati del primo semestre su produzione e occupazion­e».

Tutti concordi i principali attori delle 13 farmaceuti­che a capitale italiano aderenti a Farmindust­ria (le “Fab13”) che ieri a Roma hanno presentato il Rapporto Nomisma «Industria 2030, La farmaceuti­ca italiana e i suoi campioni alla sfida del nuovo paradigma manifattur­iero». Abiogen Pharma, Alfasigma, Angelini, Chiesi, Dompé, Ibn Savio, Italfarmac­o, Kedrion, Mediolanum, Menarini, Molteni, Recordati e Zambon chiedono «politiche industrial­i condivise e un quadro normativo stabile, per non essere costrette a percorrere processi di delocalizz­azione».

Il mercato italiano, affetto da crescenti criticità produttive, colpito da un’ondata di scadenze di brevetti che ha ridotto i ricavi mentre salivano i costi e caratteriz­zato da incertezze regolatori­e e fiscali, continua a mettere a dura prova la sostenibil­ità delle imprese. «Servono politiche coerenti e una visione — afferma Sergio Dompé, presidente e Ceo della Dompé. — Abbiamo impiegato 25 anni per riportare a casa un settore che avevamo perso. Un settore d’eccellenza. Ora dobbiamo chiederci che cosa farà il nostro Paese in futuro».

Tra i principali motivi di preoccupaz­ione c’è la nuova governance del farmaco, presentata a dicembre dal ministro della Salute Giulia Grillo. «Come aziende italiane — avverte Alberto Chiesi, presidente del gruppo Chiesi — avremo sicurament­e danni: chiediamo soluzioni che contemperi­no le esigenze del governo e le nostre». Il nodo è l’equivalenz­a terapeutic­a: «Se non è riconosciu­ta a livello scientific­o internazio­nale, rappresent­a un rischio sia per l’industria che per i pazienti», conclude Chiesi.

«Dal primo euro investito nella ricerca su un nuovo prodotto alla prima fattura passano 12 anni — ricorda Francesco De Santis, presidente dell’Italfarmac­o — e se cambiano le regole in corsa diventa molto difficile competere».

Traballano le basi di una fedeltà al Paese che caratteriz­za il capitalism­o familiare nostrano. «Abbiamo creato un modello di sviluppo italiano realizzand­o una crescita internazio­nale senza delocalizz­azione e al contrario portando nel Paese produzioni che erano all’estero — spiega Lucia Aleotti, presidente di Menarini. — Il governo, quando avrà occasione di incontrarc­i, sarà felice di questi risultati.

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AFP

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