Logistica, rifornimenti, frontiere Londra prepara l’hard Brexit
Aumento degli stoccaggi e riorganizzazione della catena dei fornitori Il settore farmaceutico tra i più attivi nel prepararsi a un’uscita disordinata
Theresa May continua a rifiutarsi di escludere un “no deal”. Nonostante le pressioni dell’opposizione e di molti deputati del suo stesso partito, la premier britannica non vuole eliminare l’opzione di un’uscita dall’Unione Europea senza un accordo per il timore di osteggiare gli oltranzisti Tory pro-Brexit.
Per il mondo del business è allarme rosso. “No deal” potrebbe voler dire blocchi alle frontiere, caos nei trasporti e nel commercio, stallo nelle forniture, ritardi nelle consegne e milioni di sterline di perdite.
La Cbi, la Confindustria britannica, ha definito la Gran Bretagna come «una superpetroliera che sta andando dritta contro le rocce». Secondo John Allan, presidente della Cbi, uscire dalla Ue senza un accordo farebbe «danni irreparabili all’economia britannica» e porterebbe a «una catastrofica perdita di posti di lavoro».
Secondo la Cbi però solo un’impresa su cinque ha preso misure concrete per prepararsi all’eventualità “no deal”. Tra le piccole imprese la percentuale scende a una su sette. La grandissima maggioranza non ha voluto sprecare tempo e risorse per una prospettiva che speravano fosse remota – un punto di vista incoraggiato dalla lentezza dello stesso Governo a organizzare preparativi in caso di hard Brexit.
Scorte ai massimi da 27 anni
Il Governo, ad esempio, pubblicherà online solo oggi l’opuscolo di 100 pagine che informa le imprese sui possibili cambiamenti dopo il 29 marzo e offre consigli per gestire problemi negli scambi commerciali. Sempre oggi verranno inviate email informative alle 80mila imprese più coinvolte.
Le grandi imprese invece hanno agito nelle ultime settimane, soprattutto aumentando le scorte di materiali e parti di ricambio. Non a caso il settore della logistica sta vivendo un momento d’oro: in tutta l’Inghilterra non si trova un magazzino, un deposito o un capannone libero, mentre gli affitti lievitano. Secondo gli ultimi dati pubblicati a fine dicembre, le scorte sono ai massimi da quando si è iniziato a raccogliere dati 27 anni fa.
Il settore farmaceutico è stato uno dei più attivi nei preparativi aumentando le scorte, con l’incoraggiamento del Governo che, come ha detto il ministro della Sanità, «non vuole correre il rischio che la gente muoia a causa di Brexit».
Non basta però riempire magazzini e aumentare le scorte, ha avvertito Utz Tillmann, managing director di Vci, l’associazione dell’industria chimica e farmaceutica tedesca: «Una Brexit disordinata creerebbe una situazione così complessa che è impossibile per le società prepararsi a tutte le eventualità».
Auto, la fine del just in time
Molte imprese hanno anche modificato le loro catene di approvvigionamento e di distribuzione per minimizzare la loro dipendenza dall’estero. Alcune, soprattutto nel settore alimentare che ha bisogno di prodotti freschi, hanno invece trasferito alcune unità produttive in Paesi Ue per evitare il rischio di ritardi alla frontiera. Le imprese più pessimiste hanno tagliato posti di lavoro in vista di un previsto rallentamento della domanda e hanno rinegoziato tempi di pagamento più generosi con i fornitori.
L’aspettativa è di tempi duri. Il Ceo di Deutsche Bank, Christian Sewing, ha detto che una Brexit disordinata farebbe precipitare la Gran Bretagna in recessione per almeno due anni e ridurrebbe di mezzo punto percentuale la crescita economica di tutta la Ue.
Secondo l’Associazione britannica di produttori di auto (Smmt) un “no deal” rischia di «distruggere l’industria automobilistica britannica». Il settore si basa sul “just in time”, un sistema di arrivo continuo di componenti da diversi Paesi Ue che funziona con precisione cronometrica.
Brexit ha già danneggiato il settore in termini di produzione, di posti di lavoro e di spese, dato il calo della sterlina che ha aumentato il costo delle importazioni. «Nulla in confronto alle conseguenze catastrofiche di essere tagliati fuori dal nostro maggiore partner commerciale da un giorno all’altro -, ha detto Mike Hawes, Ceo di Smmt -. La natura just in time del settore automobilistico significa che l’impatto di “no deal” verrà sentito non dopo mesi o settimane, ma entro poche ore».
Rischi di code da 130 km
Grandi imprese come Toyota, Honda e Bmw hanno fatto sapere che le loro fabbriche in Inghilterra interromperanno la produzione e saranno parzialmente chiuse per qualche giorno o settimana in caso di “no deal”. I dipendenti verranno impiegati in corsi di formazione o attività di manutenzione in attesa di riorganizzare le supply chain.
Anche le imprese dall’altra parte della Manica hanno espresso grande preoccupazione. Le ditte di trasporti e di logistica hanno avvertito di possibili code di 130 chilometri di camion alla frontiera. Il gigante Deutsche Post ha aperto un ufficio nel porto inglese di Southampton in previsione di problemi a Dover, dove attualmente passano 10mila Tir carichi al giorno.
In una lettera che verrà pubblicata oggi sul Times, oltre 170 grandi nomi del business, che insieme danno un contributo di oltre 100 miliardi di sterline all’economia britannica, chiedono di escludere un “no deal caotico” e di optare invece per un secondo referendum come unico modo per uscire dall’impasse.