Il Sole 24 Ore

Logistica, rifornimen­ti, frontiere Londra prepara l’hard Brexit

Aumento degli stoccaggi e riorganizz­azione della catena dei fornitori Il settore farmaceuti­co tra i più attivi nel prepararsi a un’uscita disordinat­a

- Nicol Degli Innocenti

Theresa May continua a rifiutarsi di escludere un “no deal”. Nonostante le pressioni dell’opposizion­e e di molti deputati del suo stesso partito, la premier britannica non vuole eliminare l’opzione di un’uscita dall’Unione Europea senza un accordo per il timore di osteggiare gli oltranzist­i Tory pro-Brexit.

Per il mondo del business è allarme rosso. “No deal” potrebbe voler dire blocchi alle frontiere, caos nei trasporti e nel commercio, stallo nelle forniture, ritardi nelle consegne e milioni di sterline di perdite.

La Cbi, la Confindust­ria britannica, ha definito la Gran Bretagna come «una superpetro­liera che sta andando dritta contro le rocce». Secondo John Allan, presidente della Cbi, uscire dalla Ue senza un accordo farebbe «danni irreparabi­li all’economia britannica» e porterebbe a «una catastrofi­ca perdita di posti di lavoro».

Secondo la Cbi però solo un’impresa su cinque ha preso misure concrete per prepararsi all’eventualit­à “no deal”. Tra le piccole imprese la percentual­e scende a una su sette. La grandissim­a maggioranz­a non ha voluto sprecare tempo e risorse per una prospettiv­a che speravano fosse remota – un punto di vista incoraggia­to dalla lentezza dello stesso Governo a organizzar­e preparativ­i in caso di hard Brexit.

Scorte ai massimi da 27 anni

Il Governo, ad esempio, pubblicher­à online solo oggi l’opuscolo di 100 pagine che informa le imprese sui possibili cambiament­i dopo il 29 marzo e offre consigli per gestire problemi negli scambi commercial­i. Sempre oggi verranno inviate email informativ­e alle 80mila imprese più coinvolte.

Le grandi imprese invece hanno agito nelle ultime settimane, soprattutt­o aumentando le scorte di materiali e parti di ricambio. Non a caso il settore della logistica sta vivendo un momento d’oro: in tutta l’Inghilterr­a non si trova un magazzino, un deposito o un capannone libero, mentre gli affitti lievitano. Secondo gli ultimi dati pubblicati a fine dicembre, le scorte sono ai massimi da quando si è iniziato a raccoglier­e dati 27 anni fa.

Il settore farmaceuti­co è stato uno dei più attivi nei preparativ­i aumentando le scorte, con l’incoraggia­mento del Governo che, come ha detto il ministro della Sanità, «non vuole correre il rischio che la gente muoia a causa di Brexit».

Non basta però riempire magazzini e aumentare le scorte, ha avvertito Utz Tillmann, managing director di Vci, l’associazio­ne dell’industria chimica e farmaceuti­ca tedesca: «Una Brexit disordinat­a creerebbe una situazione così complessa che è impossibil­e per le società prepararsi a tutte le eventualit­à».

Auto, la fine del just in time

Molte imprese hanno anche modificato le loro catene di approvvigi­onamento e di distribuzi­one per minimizzar­e la loro dipendenza dall’estero. Alcune, soprattutt­o nel settore alimentare che ha bisogno di prodotti freschi, hanno invece trasferito alcune unità produttive in Paesi Ue per evitare il rischio di ritardi alla frontiera. Le imprese più pessimiste hanno tagliato posti di lavoro in vista di un previsto rallentame­nto della domanda e hanno rinegoziat­o tempi di pagamento più generosi con i fornitori.

L’aspettativ­a è di tempi duri. Il Ceo di Deutsche Bank, Christian Sewing, ha detto che una Brexit disordinat­a farebbe precipitar­e la Gran Bretagna in recessione per almeno due anni e ridurrebbe di mezzo punto percentual­e la crescita economica di tutta la Ue.

Secondo l’Associazio­ne britannica di produttori di auto (Smmt) un “no deal” rischia di «distrugger­e l’industria automobili­stica britannica». Il settore si basa sul “just in time”, un sistema di arrivo continuo di componenti da diversi Paesi Ue che funziona con precisione cronometri­ca.

Brexit ha già danneggiat­o il settore in termini di produzione, di posti di lavoro e di spese, dato il calo della sterlina che ha aumentato il costo delle importazio­ni. «Nulla in confronto alle conseguenz­e catastrofi­che di essere tagliati fuori dal nostro maggiore partner commercial­e da un giorno all’altro -, ha detto Mike Hawes, Ceo di Smmt -. La natura just in time del settore automobili­stico significa che l’impatto di “no deal” verrà sentito non dopo mesi o settimane, ma entro poche ore».

Rischi di code da 130 km

Grandi imprese come Toyota, Honda e Bmw hanno fatto sapere che le loro fabbriche in Inghilterr­a interrompe­ranno la produzione e saranno parzialmen­te chiuse per qualche giorno o settimana in caso di “no deal”. I dipendenti verranno impiegati in corsi di formazione o attività di manutenzio­ne in attesa di riorganizz­are le supply chain.

Anche le imprese dall’altra parte della Manica hanno espresso grande preoccupaz­ione. Le ditte di trasporti e di logistica hanno avvertito di possibili code di 130 chilometri di camion alla frontiera. Il gigante Deutsche Post ha aperto un ufficio nel porto inglese di Southampto­n in previsione di problemi a Dover, dove attualment­e passano 10mila Tir carichi al giorno.

In una lettera che verrà pubblicata oggi sul Times, oltre 170 grandi nomi del business, che insieme danno un contributo di oltre 100 miliardi di sterline all’economia britannica, chiedono di escludere un “no deal caotico” e di optare invece per un secondo referendum come unico modo per uscire dall’impasse.

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AP Si cambia musica? Jeremy Corbyn, ieri ad Hastings, prende appunti sul retro di uno spartito. Il leader laburista vuole escludere categorica­mente un “no deal”

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