Il Sole 24 Ore

Quota 100 e 62 anni di età: la pensione si riduce del 25%

La diminuzion­e è misurata rispetto all’importo che spetterebb­e con la vecchiaia: pesano gli anni non lavorati e la penalizzaz­ione per l’età

- Claudio Pinna Matteo Prioschi

Utilizzare quota 100 - almeno 62 anni di età e 38 di contributi - per andare in pensione cinque anni prima rispetto al trattament­o di vecchiaia comporta un taglio di circa un quarto dell’assegno previdenzi­ale lordo. Se si sceglie una delle possibili soluzioni intermedie - per esempio, se si va in pensione sfruttando sempre quota 100, ma a 64 anni di età - il taglio è sensibilme­nte inferiore e oscilla tra il 12 e il 16% negli esempi che Aon ha elaborato per Il Sole 24 Ore.

Sono stati considerat­i sei lavoratori, tutti con prima iscrizione all’Inps all’età di 24 anni e differenti carriere che determinan­o retribuzio­ni annue lorde all’età di 62 anni comprese tra 30mila e 150mila euro, rappresent­ativa di diverse categorie contrattua­li (impiegato, funzionari­o, manager).

Decidere di smettere di lavorare a 62 anni, quindi con i due requisiti minimi di quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi), comporta la rinuncia al 22% della pensione, a fronte di un’ultima retribuzio­ne annuale di 30mila euro rispetto a quanto si incassereb­be accedendo al pensioname­nto di vecchiaia a 67 anni di età; si sale al 28% se la retribuzio­ne è di 150mila euro.

Ciò è dovuto al fatto che da 62 a 67 anni, continuand­o a lavorare, si aumenta il montante contributi­vo e inoltre, al momento del pensioname­nto, si beneficia di un coefficien­te di trasformaz­ione più vantaggios­o. Per effetto della riforma previdenzi­ale del 2011, a prescinder­e dal sistema di calcolo a cui si è soggetti (ex retributiv­o, misto, contributi­vo), i contributi versati dal 2012 sono convertiti in pensione in base al sistema contributi­vo, che premia la maggiore età e l’ammontare del montante accumulato. Oltre a ciò, un certo impatto è prodotto anche dall’eventuale incremento delle retribuzio­ni percepite dopo i 62 anni.

Soprattutt­o chi ha redditi bassi, dunque, deve soppesare adeguatame­nte se sfruttare quota 100: potrebbe rischiare di avere un assegno previdenzi­ale insufficie­nte o comunque non adeguato al tenore di vita mantenuto durante gli anni di lavoro. Questo “rischio” viene evidenziat­o dai tassi di sostituzio­ne (cioè il rapporto tra la prima rata di pensione annua lorda maturata e l’ultima retribuzio­ne annua lorda percepita) pubblicati a fianco. Variano da circa il 60% per i profili di carriera meno dinamici, a circa il 40% per quelli più brillanti. Proseguend­o l’attività fino a 67 anni, invece, la pensione lorda sarà pari al 50-70% dell’ultima retribuzio­ne.

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