Il Sole 24 Ore

Banche dati decisive, ma non si parlano

Solo in fase sperimenta­le il progetto Api per mettere le amministra­zioni in rete

- Alessandro Longo

Il sistema del reddito di cittadinan­za funzionerà bene, con rischi minimi di frodi e ritardi, solo se sarà retto da un’architettu­ra tecnologic­a efficiente ed estesa ai tanti enti coinvolti. Architettu­ra però che ancora non c’è. Chiunque si occupi degli aspetti della pubblica amministra­zione digitale ha chiaro che il reddito di cittadinan­za presuppone una sfida tecnologic­a notevole, a cui l’Italia non è ancora preparata. Perché - di fondo - i tanti sistemi informatic­i coinvolti, nei diversi enti, ancora non sono stati messi in comunicazi­one tra loro; oppure - ancora più grave - alcuni di questi enti hanno un livello di informatiz­zazione inadeguato (è il caso dei Comuni e del ministero della Giustizia).

«Sarà complicato far funzionare tutto bene: servirebbe che i sistemi di tutti gli enti fossero interopera­bili, ossia parlassero una lingua in comune, con regole condivise; ma a questo scopo deve realizzars­i il progetto delle Api (Applicatio­n program interface) previsto dal piano triennale dell’informatic­a pubblica 2017-2019 (firmato dall’allora premier Gentiloni)», spiega Luca Gastaldi, responsabi­le dell’osservator­io Agenda Digitale del Politecnic­o di Milano. «Ma il progetto Api è ancora in fase sperimenta­le» aggiunge.

Il principale problema tecnologic­o riguarda il sistema di verifica dei requisiti dei cittadini. Com’è ormai noto, secondo il decreto in approvazio­ne, Inps riceverà dalle Poste o daiCentri di assistenza fiscale convenzion­ati le domande dei cittadini. Inps dovrà quindi verificare, entro cinque giorni lavorativi dalla data di comunicazi­one, il possesso dei requisiti per l’accesso al reddito di cittadinan­za. E qui comincia la sfida tecnologic­a. Il problema è che le informazio­ni per verificare i requisiti sono sparse tra tanti diversi sistemi che adesso non sono in comunicazi­one tra loro, né hanno le caratteris­tiche tecniche opportune (l’interopera­bilità, in base alle “Api”) per potersi parlare. Inps dovrà verificare, infatti, «sulla base delle informazio­ni disponibil­i nei propri archivi e in quelli delle amministra­zioni collegate», si legge nell’attuale testo del decreto. Inps «acquisisce, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dall’Anagrafe tributaria, dal Pubblico Registro Automobili­stico e dalle altre amministra­zioni pubbliche detentrici dei dati, le informazio­ni rilevanti ai fini della concession­e del Reddito di cittadinan­za».

Un’ipotesi è fare questi controlli tramite comunicazi­oni ad hoc, con flussi di dati crittograf­ati, da Inps ai vari enti. Un po’ come si fa ora per il reddito di inclusione. Ma sarebbe una soluzione inadeguata alla maggiore complessit­à della nuova misura, che richiedere­bbe un sistema più automatizz­ato. Possibile però solo se i database nei vari enti diventasse­ro interopera­bili.

Parte della complessit­à si scarica ora sui Comuni, a cui il decreto chiede di verificare i requisiti di residenza e di soggiorno, «nelle more del completame­nto dell’Anagrafe nazionale della popolazion­e residente». I ritardi di questa Anagrafe Unica testimonia­no quanto sia difficile mettere ordine nella grande frammentaz­ione dei sistemi informatic­i pubblici. Già da un decreto del 2012 si lavora all’Anagrafe Unica, che - in base a una prima scadenza fissata - doveva realizzars­i già nel 2016, mentre ora l’obiettivo è il 2020 .

Si parte, quindi, nell’incertezza di come sarà possibile, tecnicamen­te, far funzionare il sistema. Incertezza confermata al Sole 24 Ore anche dagli addetti ai lavori nelle istituzion­i centrali che saranno chiamati a gestire questi profili (e che preferisco­no, per ovvie ragioni, restare anonimi).

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