Banche dati decisive, ma non si parlano
Solo in fase sperimentale il progetto Api per mettere le amministrazioni in rete
Il sistema del reddito di cittadinanza funzionerà bene, con rischi minimi di frodi e ritardi, solo se sarà retto da un’architettura tecnologica efficiente ed estesa ai tanti enti coinvolti. Architettura però che ancora non c’è. Chiunque si occupi degli aspetti della pubblica amministrazione digitale ha chiaro che il reddito di cittadinanza presuppone una sfida tecnologica notevole, a cui l’Italia non è ancora preparata. Perché - di fondo - i tanti sistemi informatici coinvolti, nei diversi enti, ancora non sono stati messi in comunicazione tra loro; oppure - ancora più grave - alcuni di questi enti hanno un livello di informatizzazione inadeguato (è il caso dei Comuni e del ministero della Giustizia).
«Sarà complicato far funzionare tutto bene: servirebbe che i sistemi di tutti gli enti fossero interoperabili, ossia parlassero una lingua in comune, con regole condivise; ma a questo scopo deve realizzarsi il progetto delle Api (Application program interface) previsto dal piano triennale dell’informatica pubblica 2017-2019 (firmato dall’allora premier Gentiloni)», spiega Luca Gastaldi, responsabile dell’osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano. «Ma il progetto Api è ancora in fase sperimentale» aggiunge.
Il principale problema tecnologico riguarda il sistema di verifica dei requisiti dei cittadini. Com’è ormai noto, secondo il decreto in approvazione, Inps riceverà dalle Poste o daiCentri di assistenza fiscale convenzionati le domande dei cittadini. Inps dovrà quindi verificare, entro cinque giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti per l’accesso al reddito di cittadinanza. E qui comincia la sfida tecnologica. Il problema è che le informazioni per verificare i requisiti sono sparse tra tanti diversi sistemi che adesso non sono in comunicazione tra loro, né hanno le caratteristiche tecniche opportune (l’interoperabilità, in base alle “Api”) per potersi parlare. Inps dovrà verificare, infatti, «sulla base delle informazioni disponibili nei propri archivi e in quelli delle amministrazioni collegate», si legge nell’attuale testo del decreto. Inps «acquisisce, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dall’Anagrafe tributaria, dal Pubblico Registro Automobilistico e dalle altre amministrazioni pubbliche detentrici dei dati, le informazioni rilevanti ai fini della concessione del Reddito di cittadinanza».
Un’ipotesi è fare questi controlli tramite comunicazioni ad hoc, con flussi di dati crittografati, da Inps ai vari enti. Un po’ come si fa ora per il reddito di inclusione. Ma sarebbe una soluzione inadeguata alla maggiore complessità della nuova misura, che richiederebbe un sistema più automatizzato. Possibile però solo se i database nei vari enti diventassero interoperabili.
Parte della complessità si scarica ora sui Comuni, a cui il decreto chiede di verificare i requisiti di residenza e di soggiorno, «nelle more del completamento dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente». I ritardi di questa Anagrafe Unica testimoniano quanto sia difficile mettere ordine nella grande frammentazione dei sistemi informatici pubblici. Già da un decreto del 2012 si lavora all’Anagrafe Unica, che - in base a una prima scadenza fissata - doveva realizzarsi già nel 2016, mentre ora l’obiettivo è il 2020 .
Si parte, quindi, nell’incertezza di come sarà possibile, tecnicamente, far funzionare il sistema. Incertezza confermata al Sole 24 Ore anche dagli addetti ai lavori nelle istituzioni centrali che saranno chiamati a gestire questi profili (e che preferiscono, per ovvie ragioni, restare anonimi).