Call center, allarme sul settore A rischio almeno 3.500 addetti
Ieri l’incontro al Mise con sindacati e aziende sui problemi esistenti Sul comparto i timori legati a cambi d’appalto, tensioni sui prezzi e decreto Dignità
Torna a tremare il mondo dei call center. Non che si sia mai veramente ripreso dallo shock dello scossone del 2016 con i 1.666 licenziamenti di Almaviva Contact nella sede di Roma, arrivati dopo svariati allarmi dell’azienda sul circolo vizioso di delocalizzazione spinta e abbassamento dei ricavi con gare sempre più al ribasso.
Quella è ormai storia, seppur con strascichi di cause di lavoro in corso. Il presente sta però facendo tremare i polsi di questo settore associato, soprattutto qualche tempo fa, a crisi aziendali e condizioni di lavoro difficili disegnate nel virziniano “Tutta la vita davanti”. Nessuno si spinge a mettere nero su bianco il rischio dal punto di vista occupazionale. Ma fra i sindacati si parla di almeno 3.500 posti di lavoro in pericolo, che rischiano di essere sacrificati sull’altare di tre fattori: mancanza di volumi e abbassamento dei prezzi richiesti dai committenti; mancato rispetto della “clausola sociale” (continuità occupazionale nei cambi di appalto) e, ultimo arrivato, il Decreto Dignità. Su quest’ultimo versante la bomba è scoppiata in Calabria, a Crotone, dove 400 addetti assunti a tempo determinato della Abramo Customer Care non si sono visti rinnovare il contratto. «A fine dicembre ne sono rimasti a casa 250; i prossimi 150 a fine gennaio», spiega Daniele Carchidi (SlcCgil). Qual è il problema? La necessità di stabilizzare i lavoratori a tempo determinato dopo 24 mesi. «Sia chiaro – precisa Carchidi – che consideriamo positivamente questa legge nella parte in cui stringe sulle assunzioni». Il problema però «è che un intervento così deve seguire politiche opportune di stabilizzazione».
Non c’è però solo il Decreto Dignità e basta fare un giro sul web per rendersi conto di una crisi strisciante. I lavoratori di Comdata sono in allerta a Pozzuoli e a Padova; c’è subbuglio a L’Aquila per i lavoratori di Olisistem (già Ecare) dopo un cambio appalto; i sindacati temono per l’avvicinarsi della scadenza degli ammortizzatori nella sede Almaviva di Palermo. Poi c’è il tema della gara Inps: se saranno confermati i risultati dell’apertura delle buste, ci sarà da gestire l’avvicendamento dell’attuale Rti (con capofila Transcom) con quello facente riferimento a Comdata.
I sindacati Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil hanno provato ad anticipare i tempi inviando, a inizio settembre, al ministro Luigi Di Maio una piattaforma con relativa richiesta di incontro. Si chiedevano varie cose: dal ribadire la clausola sociale, all’estendere anche alle gare private, oltre alla Pa, il riferimento al costo orario minimo del lavoro arrivato a fine 2017 e indicato in specifiche tabelle. L’incontro, 9 sigle sindacali e due datoriali, si è tenuto ieri al Mise. La possibilità di avere ammortizzatori sociali strutturali, da cui i call center sono ora esclusi pur avendo un Fis, fondo integrativo di solidarietà, è la priorità dei sindacati e interessa anche Asstel. «Riteniamo – dice il direttore Laura Di Raimondo – che la soluzione ottimale sia quella di individuare la soluzione strutturale in materia che preveda una tutela omogenea all’interno della filiera tra aziende inquadrate ai fini previdenziali nel comparto industria e aziende, come i call center in outsourcing, inquadrate nel comparto servizi, fondata anche su un contributo delle aziende stesse in caso di ricorso a questi strumenti».
Resta un tema di sostenibilità del settore. «I volumi in calo e il mancato rispetto delle clausole sociali sono temi da risolvere per evitare che la crisi del settore porti ad altri casi come quelli del passato», dice Fabio Gozzo (Uilcom Uil). Per Marco Del Cimmuto (Slc Cgil) «il problema sono i margini. Perché i ricavi potranno anche crescere, ma la committenza continua a stringere la corda». Per Giorgio Serao (Fistel Cisl) «sui call center è stato fatto molto con la “clausola sociale”; bisogna ancora fare tanto perché la crisi persiste e dovuta alla bassa marginalità, al calo dei volumi e alle eccedenze di personale in alcuni territori. Bisogna subito dotare il settore di ammortizzatori sociali ordinari».