Alla scoperta delle meraviglie dell’universo estremo
«Non soltanto l’uomo non è il centro dell’universo, ma l’universo non è fatto per l’uomo, è ostile, violento, strano. Nel cielo non ci sono Campi Elisi, bensì materia e luce distorte, compresse, dilatate, rarefatte in una misura che scavalca i nostri sensi e il nostro linguaggio. Ad ogni anno che passa, mentre le cose terrestri si aggrovigliano sempre più, le cose del cielo inaspriscono la loro sfida: il cielo non è semplice, ma neppure impermeabile alla nostra mente, e attende di essere decifrato». Queste parole di Primo Levi – tratte da La ricerca delle radici (dove comparivano a commento di un articolo divulgativo di Kip Thorne sui buchi neri) – sarebbero perfette anche come introduzione al libro che Patrizia Caraveo ha appena scritto per la collana «Lezioni di Fisica» del Corriere della Sera.
L’uomo, certo, non è il centro dell’universo (e da alcuni secoli sa di non esserlo), ma sono i suoi occhi a scrutarlo e la sua mente a decifrarlo: gli occhi forniti dalla natura, e quelli – sempre più sofisticati – di cui ci dota il nostro ingegno. Una sera del 1609 Galileo puntò per la prima volta un cannocchiale verso il cielo e vide cose nuove e sorprendenti. Da allora gli astronomi hanno percorso una lunga strada, costellata di successi, e, dopo tre secoli di osservazioni ottiche, hanno capito che il cielo ci dà notizia di sé non solo mediante la luce, ma anche attraverso una varietà di altri canali: radiazioni elettromagnetiche di diversa frequenza, particelle e – buone ultime – le onde gravitazionali.
Nell’agosto del 2017 si è verificata una svolta importante: lo scontro tra due stelle di neutroni è stato osservato in contemporanea da decine di telescopi e di rivelatori sparsi sulla Terra e nello spazio, che hanno catturato tutti i segnali di quel cataclisma giunti fino a noi, dalle onde elettromagnetiche alle onde gravitazionali (captate dagli interferometri LIGO e Virgo). Un mese dopo, un altro notevole risultato: l’esperimento IceCube, che opera in Antartide, ha osservato un neutrino – uno solo – di altissima energia, proveniente dalle profondità del cosmo. L’immediata attivazione di una serie di telescopi nelle frequenze radio e dei raggi gamma ha permesso di individuare la sorgente del neutrino al centro di una galassia lontana, dove un gigantesco buco nero funziona da potentissimo acceleratore di particelle.
Con queste due scoperte ha preso avvio l’astronomia multimessaggera, che mette assieme le informazioni fornite dai vari “messaggeri” cosmici per costruire un’immagine più dettagliata dei fenomeni astrofisici. Una sua componente fondamentale è l’astronomia gamma, cui è principalmente dedicato il libro di Caraveo, che si presenta come una piccola e preziosa guida all’esplorazione dell’universo estremo, scritta da una protagonista di questa affascinante avventura scientifica.
I raggi gamma, che si situano nella parte di più alta frequenza dello spettro elettromagnetico (e che sono, in effetti, fotoni altamente energetici), rappresentano la fonte di informazione privilegiata sugli oggetti e sui fenomeni più violenti del cosmo: buchi neri supermassicci, pulsar, supernove, collisioni cosmiche. Purtroppo per gli astronomi – ma fortunatamente per l’uomo – l’atmosfera impedisce a questa radiazione di raggiungere la superficie terrestre e, per captarla, è necessario collocare i rivelatori nello spazio, con tutte le complicazioni che ciò comporta. Si è cominciato a farlo negli anni ’70 e da allora si sono succedute numerose missioni, tutte di grande successo (le ultime sono INTEGRAL, AGILE, Fermi). Più di recente, il cielo gamma ha iniziato a essere osservato anche dalla Terra, in maniera indiretta, attraverso la rivelazione delle particelle secondarie prodotte negli urti dei fotoni gamma contro gli atomi dell’atmosfera (attualmente il principale osservatorio è MAGIC alle Isole Canarie). In tutti questi studi, il nostro paese ha una posizione preminente; l’astronomia gamma, come giustamente ricorda Caraveo, è uno dei fiori all’occhiello della nostra ricerca, una vera eccellenza italiana, grazie al suo stretto legame con un’altra grande tradizione scientifica, quella della fisica delle particelle e dei raggi cosmici, e alla presenza di figure straordinarie: il pioniere, Beppo Occhialini, tra i massimi fisici sperimentali del Novecento, e l’indimenticabile Nanni Bignami, anima e leader della disciplina per alcuni decenni.
Molto opportunamente, Caraveo sottolinea anche alcuni aspetti sociologici dell’attuale ricerca astronomica. Innanzi tutto, il suo carattere aperto e l’accessibilità delle informazioni: i dati raccolti da ogni strumento sono messi a disposizione – subito o in breve tempo – di tutte le altre collaborazioni, per confronti, controlli, studi incrociati. Poi, la sua dimensione globale: siamo ormai oltre la stessa Big Science, a un livello davvero planetario; basti pensare al progetto CTA (Cherenkov Telescope Array), di cui sono stati appena definiti i siti, che prevede di esplorare il cielo gamma per mezzo di un centinaio di telescopi divisi tra l’emisfero nord e l’emisfero sud (con una cospicua partecipazione di ricercatori italiani).
L’astrofisica delle alte energie, assieme alle discipline che le sono contigue, come la fisica astroparticellare e la fisica gravitazionale, sta vivendo un momento d’oro e promette importanti novità per il futuro. «Lo spazio di scoperta – scrive Caraveo – si è straordinariamente amplificato e siamo sicuri che il cielo non smetterà di meravigliarci». Non potremmo chiedere di meglio.