Per i revisori aumenti fino al 56,4%
Nel decreto un doppio aggiornamento delle cifre congelate dal 2005, ma mancano ancora le regole sui limiti minimi alle indennità
Doppio aggiornamento delle cifre congelate dal 2005.
Il decreto sui revisori pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 4 gennaio produce aumenti fino al 56,4% nelle indennità da riconoscere ai controllori dei conti in Comuni, Province e Città metropolitane. Solo negli enti più piccoli, quelli fino a 5mila abitanti, l’incremento è del 20,4 per cento.
Si tratta di percentuali roboanti, soprattutto in tempi di crisi perenne della finanza pubblica. Negli enti più piccoli servono ad adeguare i compensi all’inflazione maturata in 13 anni, e negli altri aggiungono un riconoscimento extra per i compiti che nel tempo si sono ingigantiti. Ma non devono ingannare. A spiegarle è il lungo congelamento a cui sono state sottoposte le indennità dei revisori: l’ultima revisione risale al 2005 e l’aggiornamento triennale, previsto dalla legge, è rimasto pura teoria. Non solo. Il decreto indica un tetto massimo, mentre rimane da risolvere la questione dei limiti minimi e dato che la decisione spetta ai Comuni, l’assenza di regole genera molte situazioni spiacevoli in cui le delibere con compensi irrisori sembrano fatte apposta per scoraggiare i professionisti.
E spingerli alla rinuncia, come capita spesso. L’Osservatorio per la finanza locale, che al Viminale riunisce allo stesso tavolo tecnico governo, amministratori locali e professionisti, ha indicato un limite minimo, spiegando che in ogni ente non si dovrebbe andare sotto al compenso fissato per la fascia demografica precedente. Ma è un suggerimento. E non basta. Servirebbe una norma.
I numeri in calo
Il decreto, che può cambiare i compensi anche per i revisori già in carica (serve la delibera dell’ente), segna però un cambio di passo, maturato dopo un confronto infinito con il Cndcec e l’Ancrel, l’associazione nazionale dei revisori. Dopo la fase di avvio dei controlli interni, pensati per sostituire le verifiche esterne dei Coreco (comitati regionali di controllo) in nome dell’autonomia, i revisori sono stati spesso confusi con i costi della politica. Il picco è arrivato nel 2006, quando il decreto Lanzillotta ha tolto il collegio di tre membri nei Comuni fra 5mila e 15mila abitanti, imponendo anche a questi enti (con bilanci da decine di milioni di euro) la figura del revisore unico. Da allora sulla categoria è sceso il gelo: le leggi non si sono più occupate di aggiornarne status e ruolo, ma non si sono dimenticate di allungare i loro compiti.
Così per molti il gioco ha smesso di valere la candela. Lo dicono i dati del Viminale, che mostrano un’emorragia continua negli iscritti all’elenco. L’edizione 2019, appena definita dal ministero dell’Interno, conta nelle Regioni a Statuto ordinario (in quelle Autonome gli elenchi sono tenuti a livello territoriale) 15.548 professionisti, cioè il 2,2% in meno rispetto al 2018 e l’8,5% in meno di due anni fa. In Puglia ed Emilia Romagna la flessione biennale ha sfiorato il 13%, in Toscana il 12% e in Lombardia il 9 per cento.
Il risultato arriva dopo un confronto infinito con Ancrel e Cndcec anche sulle regole
Il nuovo accesso
Non basteranno i nuovi compensi a invertire la rotta. Ma il decreto non arriva da solo. Al Viminale è vicino al traguardo anche il nuovo regolamento che affronta i temi chiave della categoria. In cantiere c’è il rafforzamento della formazione, con il raddoppio (da 10 a 20) dei crediti annuali necessari per iscriversi all’elenco, nelle bozze previsto solo per chi è al debutto, e delle verifiche sulle competenze, con il test obbligatorio del Viminale. Si sta studiando un nuovo algoritmo per l’estrazione,per favorire chi non è mai stato sorteggiato, che si potrebbe estendere anche alle partecipate. E accende le discussioni l’idea di aprire l’elenco ai ragionieri degli enti locali, che però dovrebbe essere limitata a chi è dottore commercialista o revisore contabile. In poche settimane, il lavoro si dovrebbe chiudere.