Il Sole 24 Ore

LA WEB TAX SULLE PRESTAZION­I DIGITALI GIOCA D’ANTICIPO MA HA MOLTE CRITICITÀ

- Di Marco Emma e Giuseppe Pizzonia

Archiviata la prima versione italiana di “web tax” – di fatto, mai attuata – la legge di Bilancio 2019 istituisce la nuova “Imposta sui servizi digitali” (Isd), nella misura del 3 per cento sui ricavi lordi (al netto di Iva e imposte indirette) derivanti da pubblicità online mirata agli utenti di interfacce digitali, dalla messa a disposizio­ne d’interfacce digitali multilater­ali per l’interazion­e tra utenti, anche al fine di agevolare la fornitura diretta di beni o servizi (marketplac­e), e dalla trasmissio­ne dei dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di interfacce digitali.

La web tax 2.0 si ispira alla proposta di direttiva Com (2018) 148 del marzo 2018. Dato l’obiettivo di tassare in modo più equo ed efficace l’economia digitale, come già indicato nell’Action 1 del progetto Beps, la Commission­e ha proposto di superare i tradiziona­li – e inadeguati - criteri di collegamen­to basati sulla relazione fisica tra contribuen­ti e territorio, per dare rilievo a fattori diversi che in concreto costituisc­ono la ricchezza delle imprese digitali: gli utilizzato­ri e i flussi di dati da questi generati, quando monetizzat­i attraverso i suddetti servizi.

L’imposta sui servizi digitali anticipa unilateral­mente questo progetto ancora in fieri, così generando il rischio, per difetto di armonizzaz­ione, di possibili doppie imposizion­i in caso di diverse forme nazionali di tassazione delle medesime transazion­i.

L’Isd è dovuta, su base trimestral­e, dalle imprese (residenti e non) che producono nell’anno solare, singolarme­nte o come gruppo, ricavi complessiv­i (worldwide) per almeno 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni da servizi digitali resi in Italia. Anche i soggetti passivi non residenti, senza stabile organizzaz­ione e non identifica­ti ai fini Iva, dovranno chiedere un numero identifica­tivo ad hoc, e a garanzia della effettivit­à dei controlli, è prevista la responsabi­lità solidale di quelli residenti appartenen­ti allo stesso gruppo.

Il criterio di territoria­lità si basa sulla localizzaz­ione degli utenti (rectius dei dispositiv­i utilizzati) in Italia; verosimilm­ente, il previsto decreto attuativo farà riferiment­o, come proposto dalla Ue, all’indirizzo Ip o ad altri metodi di geolocaliz­zazione, se più accurato.

Molti gli aspetti in comune con l’Iva, quali le norme su accertamen­to, riscossion­e, sanzioni e contenzios­o, in quanto compatibil­i. Inoltre, come nel gruppo Iva, non sono tassabili i servizi resi infragrupp­o, e si può nominare una società del gruppo per l’assolvimen­to dei vari adempiment­i. Soprattutt­o, come nell’Iva, il tributo è calcolato sul fatturato relativo ai servizi rilevanti.

Su queste basi, si potrebbe anche ipotizzare l’incompatib­ilità dell’imposta sui servizi digitali rispetto al divieto Ue di nuovi tributi sulla cifra d’affari.

Mancando però il meccanismo di rivalsa/detrazione (è un prelievo tendenzial­mente monofase), e considerat­a la posizione della Corte di Giustizia Ue sull’Irap (che ha disatteso il diverso parere dell’Avvocato generale) sembra potersi escludere tale incompatib­ilità, dato anche il campo di applicazio­ne molto specifico e non generale del prelievo.

La questione meriterebb­e ulteriori approfondi­menti.

L’assenza di rivalsa dovrebbe, peraltro, consentire, come del resto previsto nella proposta di direttiva (consideran­do 27), la deducibili­tà della Isd ai fini Irs ex articolo 99 Tuir, anche se la nuova disciplina non la prevede espressame­nte.

Le norme appena approvate pongono diverse questioni e criticità che andrebbero chiarite dalle norme attuative e dalla prassi.

Tra le tante, l’esclusione, come nella proposta dalla Commission­e, dei servizi di messa a disposizio­ne di contenuti digitali (software, app, giochi, musica, video, e così via). In coerenza con la natura del prelievo, dovrebbero essere escluse anche le vendite dirette di beni o servizi attraverso il sito web del fornitore, senza ricorso a piattaform­e di terzi.

Inoltre, la complessa struttura tripartita delle transazion­i (le grandi imprese digitali, ovunque stabilite, soggetti passivi Isd; i clienti, residenti o non, che pagano per i servizi digitali rilevanti; gli utenti italiani di piattaform­e da cui originano le fattispeci­e rilevanti) e l’immaterial­ità delle stesse sollevano dubbi sulle reali possibilit­à di operare controlli efficaci, tenuto anche conto della privacy degli utenti e delle difficoltà tecniche per una corretta geolocaliz­zazione.

Infine, la natura indiretta attribuibi­le all’imposta, rimuove alla radice eventuali problemati­che di compatibil­ità (e rinegoziaz­ione) dei trattati contro le doppie imposizion­i, spostando la questione sul tema della deducibili­tà dell’imposta nei vari ordinament­i.

Dubbi sull’efficacia dei controlli su transazion­i complesse e caratteriz­zate dall’immaterial­ità

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