LA WEB TAX SULLE PRESTAZIONI DIGITALI GIOCA D’ANTICIPO MA HA MOLTE CRITICITÀ
Archiviata la prima versione italiana di “web tax” – di fatto, mai attuata – la legge di Bilancio 2019 istituisce la nuova “Imposta sui servizi digitali” (Isd), nella misura del 3 per cento sui ricavi lordi (al netto di Iva e imposte indirette) derivanti da pubblicità online mirata agli utenti di interfacce digitali, dalla messa a disposizione d’interfacce digitali multilaterali per l’interazione tra utenti, anche al fine di agevolare la fornitura diretta di beni o servizi (marketplace), e dalla trasmissione dei dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di interfacce digitali.
La web tax 2.0 si ispira alla proposta di direttiva Com (2018) 148 del marzo 2018. Dato l’obiettivo di tassare in modo più equo ed efficace l’economia digitale, come già indicato nell’Action 1 del progetto Beps, la Commissione ha proposto di superare i tradizionali – e inadeguati - criteri di collegamento basati sulla relazione fisica tra contribuenti e territorio, per dare rilievo a fattori diversi che in concreto costituiscono la ricchezza delle imprese digitali: gli utilizzatori e i flussi di dati da questi generati, quando monetizzati attraverso i suddetti servizi.
L’imposta sui servizi digitali anticipa unilateralmente questo progetto ancora in fieri, così generando il rischio, per difetto di armonizzazione, di possibili doppie imposizioni in caso di diverse forme nazionali di tassazione delle medesime transazioni.
L’Isd è dovuta, su base trimestrale, dalle imprese (residenti e non) che producono nell’anno solare, singolarmente o come gruppo, ricavi complessivi (worldwide) per almeno 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni da servizi digitali resi in Italia. Anche i soggetti passivi non residenti, senza stabile organizzazione e non identificati ai fini Iva, dovranno chiedere un numero identificativo ad hoc, e a garanzia della effettività dei controlli, è prevista la responsabilità solidale di quelli residenti appartenenti allo stesso gruppo.
Il criterio di territorialità si basa sulla localizzazione degli utenti (rectius dei dispositivi utilizzati) in Italia; verosimilmente, il previsto decreto attuativo farà riferimento, come proposto dalla Ue, all’indirizzo Ip o ad altri metodi di geolocalizzazione, se più accurato.
Molti gli aspetti in comune con l’Iva, quali le norme su accertamento, riscossione, sanzioni e contenzioso, in quanto compatibili. Inoltre, come nel gruppo Iva, non sono tassabili i servizi resi infragruppo, e si può nominare una società del gruppo per l’assolvimento dei vari adempimenti. Soprattutto, come nell’Iva, il tributo è calcolato sul fatturato relativo ai servizi rilevanti.
Su queste basi, si potrebbe anche ipotizzare l’incompatibilità dell’imposta sui servizi digitali rispetto al divieto Ue di nuovi tributi sulla cifra d’affari.
Mancando però il meccanismo di rivalsa/detrazione (è un prelievo tendenzialmente monofase), e considerata la posizione della Corte di Giustizia Ue sull’Irap (che ha disatteso il diverso parere dell’Avvocato generale) sembra potersi escludere tale incompatibilità, dato anche il campo di applicazione molto specifico e non generale del prelievo.
La questione meriterebbe ulteriori approfondimenti.
L’assenza di rivalsa dovrebbe, peraltro, consentire, come del resto previsto nella proposta di direttiva (considerando 27), la deducibilità della Isd ai fini Irs ex articolo 99 Tuir, anche se la nuova disciplina non la prevede espressamente.
Le norme appena approvate pongono diverse questioni e criticità che andrebbero chiarite dalle norme attuative e dalla prassi.
Tra le tante, l’esclusione, come nella proposta dalla Commissione, dei servizi di messa a disposizione di contenuti digitali (software, app, giochi, musica, video, e così via). In coerenza con la natura del prelievo, dovrebbero essere escluse anche le vendite dirette di beni o servizi attraverso il sito web del fornitore, senza ricorso a piattaforme di terzi.
Inoltre, la complessa struttura tripartita delle transazioni (le grandi imprese digitali, ovunque stabilite, soggetti passivi Isd; i clienti, residenti o non, che pagano per i servizi digitali rilevanti; gli utenti italiani di piattaforme da cui originano le fattispecie rilevanti) e l’immaterialità delle stesse sollevano dubbi sulle reali possibilità di operare controlli efficaci, tenuto anche conto della privacy degli utenti e delle difficoltà tecniche per una corretta geolocalizzazione.
Infine, la natura indiretta attribuibile all’imposta, rimuove alla radice eventuali problematiche di compatibilità (e rinegoziazione) dei trattati contro le doppie imposizioni, spostando la questione sul tema della deducibilità dell’imposta nei vari ordinamenti.
Dubbi sull’efficacia dei controlli su transazioni complesse e caratterizzate dall’immaterialità