Effetto Brexit una minaccia anche per le piccole imprese
Il direttore di Business Europe invita a pesare le ricadute meno prevedibili Farmaceutica, trasporti e agroalimentare tra i settori che rischiano di più
«L’effetto Brexit minaccia le catene produttive delle Pmi». Lo dice in un’intervista al Sole 24 Ore il direttore generale di Business Europe, Markus J. Beyrer. Farmaceutica, trasporti e agroalimentare tra i settori che rischiano di più.
Oltre confine, in Olanda, il governo ha lanciato una campagna pubblicitaria a tappeto, alla radio e in televisione, per avvertire la popolazione dei rischi legati all’uscita del Regno Unito dall’Unione. Si avvicina la data, il 29 marzo, e in assenza di un accordo di divorzio, diventa sempre più probabile un hard Brexit. In un’intervista con Il Sole 24 Ore, il direttore generale dell’associazione imprenditoriale Business Europe Markus J. Beyrer, 53 anni, ha avvertito le piccole e medie imprese di valutare con attenzione l’effetto spesso imprevisto di Brexit sulle catene produttive.
Mancano 50 giorni a Brexit. Come si sta preparando il mondo imprenditoriale?
I livelli di preparazione presentano grandi differenze a seconda della dimensione della società, della sua nazionalità e del settore in cui opera. I Paesi più esposti – la Francia, l’Olanda, il Belgio, l’Irlanda – hanno accelerato gli sforzi. Molte associazioni imprenditoriali hanno istituito gruppi di lavoro per assistere le imprese.
E negli altri Paesi?
In alcuni casi, vi è probabilmente una minore consapevolezza. Penso per esempio all’Austria, il mio Paese, dove Brexit non sembra essere al centro delle preoccupazioni. In realtà le catene produttive potrebbero rivelarsi un problema. Esorto quindi le piccole e medie imprese a indagare per capire se appartengono a una catena produttiva che ha come sbocco il Regno Unito. Le grandi imprese tendono in questo frangente a essere più preparate.
Ha parlato dell’Austria, lo stesso vale per altri Paesi, come l’Italia? Certo. Molte aziende potrebbero non essere a conoscenza del fatto che il prodotto alla cui realizzazione partecipano è destinato alla Gran Bretagna, per esempio in una catena produttiva gestita da una controparte tedesca. Potrebbero essere sedute sullo stesso ramo senza saperlo.
Intende catene produttive (value chains in inglese, ndr) nel settore industriale?
Sì, ma non solo. Ripercussioni potrebbero esserci anche nei servizi: nei trasporti o nella finanza. Pensiamo ai trasferimenti di capitale, alle quotazioni in Borsa, al passporting, ai contratti di assicurazione. Per le piccole e medie imprese prepararsi a perturbazioni nelle catene produttive è molto difficile. Potrebbe significare modificare la catena produttiva, a monte o a valle. Potrebbe rivelarsi incredibilmente costoso tanto più che non sappiamo quando, come e se Brexit avrà luogo. In questo senso, il livello di preparazione dei Paesi e delle imprese potrebbe non essere sufficiente alla fine di marzo.
Quali settori vede più a rischio? Certamente i settori più coinvolti nelle catene produttive. Con un occhio agli interessi dei cittadini, citerei i trasporti, il settore agroalimentare, la farmaceutica. Settori ugualmente esposti, ma con un impatto meno diretto per i cittadini sono l’automobilistico e il chimico.
In alcuni campi, le imprese hanno iniziato ad aumentare i rifornimenti in Gran Bretagna.
Sì. LVMH Moet Henessy Louis Vuitton ha annunciato di avere accumulato scorte di vino e alcolici per quattro mesi in Gran Bretagna. Altre imprese stanno facendo altrettanto.
In assenza di accordo sul divorzio, Londra potrebbe chiedere una estensione del periodo negoziale, oltre il 29 marzo. Non significherebbe in fondo prolungare l’incertezza? Il nostro obiettivo è di ottenere la Brexit meno dannosa possibile. Quindi siamo favorevoli a un prolungamento del periodo negoziale, ma con scopi precisi. Se fossimo di fronte a una scelta drastica, tra hard Brexit e prolungamento del periodo negoziale, opteremmo per la seconda nella speranza di trovare un accordo su un’intesa di divorzio.
Le dogane britanniche hanno appena annunciato che in caso di hard Brexit almeno in primo momento avrebbero limitato i controlli delle merci in ingresso. È soddisfatto di questa promessa? Certo. Sarà importante tuttavia un certo coordinamento anche da questa parte della frontiera.
Sarà comunque importante preservare l’integrità del mercato unico. Assolutamente. Non vogliamo che ci sia un buco aperto nel mercato unico dal quale potrebbe passare merce non controllata. Controlli ai confini sono necessari. Ed ecco perché siamo favorevoli alla soluzioneparacadute (noto con l’espressione backstop in inglese, ndr) alla frontiera tra le due Irlande. Ciò detto, chiederemo alle autorità europee di utilizzare i margini di manovra a loro disposizione per non avere un approccio punitivo.
Avete già rivisto le vostre previsioni economiche nel caso di una hard Brexit?
Nel caso di caos temo che le previsioni sottovaluteranno l’impatto negativo perché è impossibile prevedere tutto: le conseguenze sulle dogane, sulle licenze, sulle etichettature, sui voli. Difficile insomma valutare l’effetto-moltiplicatore.