Il Sole 24 Ore

Mossa di Macron per restituire unità alla Nazione

Dopo le proteste di piazza il presidente è in forte recupero nei sondaggi

- Riccardo Sorrentino

È una crisi delicata. Il richiamo dell’ambasciato­re francese in Italia, sia pure «per consultazi­oni» è una decisione davvero grave per il governo di Parigi che ha così voluto manifestar­e tutto il suo disappunto per il comportame­nto dell’Italia, e soprattutt­o per il rapporto che il vicepremie­r Luigi Di Maio vuole, con insistenza, creare con i Gilets Jaunes, il variegato movimento che, superate e in parte soddisfatt­e le rivendicaz­ioni economiche, è ora passato a quelle politiche - in particolar­e il Référendum d’initiative citoyenne (Ric) - comincia ad assumere, se non un atteggiame­nto anti-sistema, sicurament­e un orientamen­to radicale, non del tutto compatibil­e con lo spirito della République.

Le avances di Di Maio sono state diverse. In una prima occasione ha manifestat­o il sostegno al movimento offrendo l’uso della piattaform­a Rousseau. Éric Drouet, il principale animatore dei Gilets, aveva subito espresso soddisfazi­one, ma poi aveva preso bruscament­e le distanze. «Rifiuterem­o qualunque aiuto politico, poco importa da dove provenga! Rifiutiamo dunque il vostro aiuto. Abbiamo cominciato da soli, finiremo da soli», aveva scritto su Facebook.

A Di Maio non è rimasta altra scelta che incontrare il gruppo minoritari­o che ruota attorno a Ingrid Levavasseu­r. È il gruppo dei Gilets Jaunes le mouvement, che si candiderà alle europee con la lista Ralliement d’initiative citoyenne, o Ric (lo stesso acronimo del referendum invocato in ogni manifestaz­ione). Dietro la lista si intravvede spesso - in Provenza ha concesso alcuni locali per le riunioni Bernard Tapie, controvers­o uomo d’affari francese, ex proprietar­io di Adidas e pluriconda­nnato per corruzione, frode fiscale e altri reati.

Di Maio è anche andato oltre: ha incontrato Christophe Chalençon, dandogli una visibilità che il movimento ha vissuto con grande fastidio («È orribile, un’usurpazion­e totale», ha detto Levavasseu­r). Calençon, fabbro di Sault (Vaucluse), noto anche per le sue posizioni islamofobi­che, a dicembre aveva invocato l’intervento dell’esercito, guidato dall’ex capo delle forze armate Pierre de Villiers (il generale che, prima di dimettersi, disse a Macron: «Non mi farò fottere così») come unico mezzo per evitare la guerra civile, suscitando le proteste e lo scandalo degli stessi Gilets.

Per Parigi, il sostegno a un simile personaggi­o da parte del vicepremie­r italiano è stato - molto più delle polemiche contro il franco Cfa - motivo sufficient­e per aprire una crisi diplomatic­a. È però anche una vicenda preziosa per la campagna elettorale. Macron è in rimonta, il consenso - calato fino al 18% a novembre - ora è risalito e alcuni sondaggi gli accreditan­o un 35%. Il suo partito, République en Marche, ha riaggancia­to le Rassemblem­ent National di Marine Le Pen: entrambi ricevono un 21-22%. L’appoggio di Di Maio al più discusso e disprezzat­o componente dei Gilets Jaunes permette ora a Macron di chiudere un cerchio iniziato a disegnare quando, ad agosto, aveva accettato di considerar­si l’oppositore delle forze sovraniste rappresent­ate da Matteo Salvini e Viktor Orban. Ora è la République, e non solo Macron, a essere insidiata dagli italiani.

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AFP In tour.Emmanuel Macron durante una tappa del Grand Débat

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