SALVINI NEGA LA CRISI MA TRA I SUOI INIZIA IL COUNTDOWN
Tanti fronti, forse cominciano a essere troppi. La novità di ieri è lo strappo con la Francia (che ritira l’ambasciatore), dopo la scelta di Luigi Di Maio di incontrare i leader dei gilet gialli. Ma la cosa davvero curiosa è che Salvini non gli è andato dietro, dando l’impressione di voler lasciare i 5 Stelle più soli davanti a una crisi diplomatica senza precedenti. Nonostante il ministro leghista sia stato il primo ad accendere lo scontro con Parigi, ieri non lo ha alimentato, piuttosto ha smussato i toni come a voler mostrare il suo volto più responsabile. E la stessa strategia usa con la Tav. Aver diffuso una contro-analisi della Lega con numeri che spiegano come bloccare l’opera sia più costoso che andare avanti, è anche questo un modo per dimostrare senso di responsabilità davanti all’elettorato moderato, non solo del Nord. E così succede con il reddito di cittadinanza, dove manda avanti i “suoi”. L’altro giorno Dario Galli, viceministro di Luigi Di Maio, raccontava tutte le criticità dei 780 euro: un’intervista che non è passata inosservata tra i grillini.
Ieri, a Pescara, Salvini si è tenuto ben distante da Berlusconi e ha negato la crisi, ma nella classe dirigente leghista – tutta al Governo, tutta del Nord, tutta ancorata al Carroccio delle origini – se ne comincia a parlare apertamente. Come se fosse iniziato un conto alla rovescia che ha come strategia di distacco dai 5 Stelle quello di rendere evidente l’improvvisazione, l’irresponsabilità, la lontananza dalle priorità economiche del loro alleato. «Se ognuno va per conto suo è difficile trovare la sintesi», diceva Giorgetti lamentando la fuga in avanti di Toninelli sulla Tav e poi Dario Galli ha persino evocato la fine dicendo che «tutti i governi cadono prima o poi. L’Alta velocità non è un argomento marginale».
Il problema per Salvini è anche questo: che può contare solo su di loro, che non ha una squadra all’altezza del governo diversa e – in qualche modo - dovrà accettarne il punto di vista. Nel periodo dello scontro con l’Europa sulla legge di bilancio e con lo spread in salita, fu soprattutto per la spinta dei leghisti al Governo – e dei presidenti di Regione – che decise la marcia indietro con Bruxelles. Adesso non ha ancora maturato l’idea di una rottura con Di Maio ma ascolta sempre di più l’insofferenza dei “suoi” soprattutto perché sale l’allarme sulla frenata del Pil che al Nord è diventato un tema dirimente. Tant’è che molti vedono in questo scontro così aperto sulla Tav e nella freddezza sul reddito di cittadinanza, anche una tattica per scaricare la responsabilità della crisi economica sui 5 Stelle.