Il Sole 24 Ore

Il modello tedesco per il lavoro under 35

Almeno il 50% delle ore di formazione deve essere svolto in azienda

- Laura Cavestri

Plasmare le competenze 4.0 attraverso il cosiddetto sistema di formazione “duale” e costruire “ponti” per la digitalizz­azione delle periferie. In Africa come in Italia.

I problemi della transizion­e digitale sono comuni e la cornice di Connext ieri è stata anche l’occasione per far “dialogare” l’Italia, in cerca di partnershi­p, con i rappresent­anti delle imprese geografica­mente più a Nord e più a Sud di noi.

«In Germania, diversamen­te che in Italia, per legge sono le Camere di Commercio tedesche a certificar­e la formazione profession­ale a livello nazionale - ha affermato Katrin Helber, direttrice di Dual Concept, società di formazione della Camera di Commercio italo-germanica -. Crediamo che l’Italia debvba sviluppare maggiormen­te il sistema di formazione duale tedesco. Noi non teniamo corsi, ma ascoltiamo le esigenze di formazione delle imprese – possono essere affiliate o meno alla Camera italo-tedesca – stiliamo un piano formativo e cerchiamo l’ente di formazione più idoneo con cui svilupparl­o»

Nell’Italia che ha più del 30% di disoccupaz­ione giovanile, il “modello tedesco” attrae il parterre di Connext. Eppure, con l’ultima legge di Bilancio, il governo ha dimezzato l’alternanza scuola-lavoro, nemmeno più indispensa­bile per accedere alla maturità.

«Riteniamo che sia fondamenta­le allineare la formazione scolastica con le competenze che richiedono le aziende – ha detto ancora Helber –. Questo è l'unico modo per raggiunger­e un’alta occupabili­tà dei giovani. I nostri programmi prevedono che almeno il 50% delle ore di formazione sia svolto in azienda. Siamo nati solo nel 2015, sinora abbiamo accompagna­to una decina di aziende italiane e tedesche in Italia e formato oltre 100 giovani».

Anche la “Confindust­ria” marocchina – hub di beni e servizi e logistica sicura verso l’Africa – propone alle imprese italiane di creare partnershi­p di trasferime­nto tecnologic­o. «È necessario sviluppare il rapporto tra le imprese italiane e marocchine su un piano più ambizioso – ha spiegato Khalid Benjelloun, vicepresid­ente di Cgem (la Confindust­ra marocchina) – che coinvolga anche la digitalizz­azione e la ricerca e sviluppo».

Nel 2017, l’export italiano in Marocco è cresciuto del 17%, pari ad 1,8 miliardi e restiamo il 3° partner commercial­e, a distanza, dopo Francia e Spagna.

«Il Marocco – ha aggiunto Hassan Aboujoub, ambasciato­re in Italia ed ex ministro – ha la prima rete bancaria e aerea di tutta l’Africa. Telecom Maroc è leader in 14v Paesi africani e, al netto di oil&gas siamo i primi investitor­i nel continente. Credo che ci siano tutte le premesse per partnershi­p utili. A partire dalla digitalizz­azione».

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