UN MANIFESTO RIFORMISTA CONTRO I POPULISMI
Non è rassicurante la previsione secondo cui sovranisti e populisti non giungeranno ad avere la meglio nelle prossime elezioni europee. Poiché basterà che essi raccolgano una buona dose di consensi in alcuni Paesi (come Francia, Italia, Spagna e parte della Germania) per essere in grado, grazie a un certo numero di seggi al Parlamento, di inceppare i complessi e delicati congegni della Ue o, comunque, di condizionare l’opera della Commissione di Bruxelles e del Consiglio europeo (dato che ogni Stato ha diritto di veto su alcune materie). Oltretutto, sono presenti nella Ue forti tendenze centrifughe (da quelle del Gruppo di Visegrad a quelle della Nuova lega anseatica, alla marcata autorefenzialità del governo gialloverde italiano).
Stando così le cose, c’è da chiedersi perché i partiti europeisti rimangano tuttora alla finestra e non si siano mobilitati come pur imporrebbe una tornata elettorale nella quale, a differenza di quelle precedenti, è in gioco la stessa ragion d’essere dell’Unione europea. Tanto più che proprio questo loro silenzio viene additato da euroscettici e sovranisti come una prova lampante del sostanziale fallimento della causa europeista, senza peraltro che essi abbiano avanzato una reale prospettiva alternativa.
È venuto dunque il momento per i partiti europeisti, contro cui i loro avversari alimentano da tempo polemiche denigratorie quanto pregiudiziali tendenti a delegittimarle, di dar prova concreta dei princìpi e dei valori ideali che professano. Ciò non comporta, naturalmente, la formazione di una sorta di rassemblement tra forze politiche storicamente diverse (come i popolari del centro-destra, i socialisti della sinistra riformista e i liberaldemocratici), bensì l’elaborazione di un documento comune con cui ci si impegna, innanzitutto, a riformare determinate norme e procedure che, alla luce dell’esperienza, non risultano congeniali a una maggiore integrazione e solidarietà fra gli Stati membri della Ue. D’altronde si tratta di non restare impantanati nei retaggi di una stagione segnata per tanto tempo da una rigida politica di austerità, improntata dai dettami ortodossi del Fondo monetario internazionale, che avrebbe finito per affondare, oltre alla Grecia, i Paesi più indebitati e acciaccati dell’Eurozona, se la Bce presieduta da Mario Draghi non fosse intervenuta nel 2015 con il QE, a tener bassi i tassi d’interesse e a immettere una consistente dose di liquidità necessaria per l’uscita del sistema economico dal tunnel della recessione.
In secondo luogo i partiti europeisti dovrebbero, in un loro manifesto, proporre ai cittadini e all’opinione pubblica un progetto di governance europea, su alcuni nodi cruciali, chiaro e convincente con alcune idee-guida significative per un patto di legislatura. A questo riguardo risulta evidente, a giudicare dai problemi più assillanti e dalle sfide della globalizzazione in un mondo multipolare, l’esigenza di coniugare gli obiettivi della crescita e della competitività con quelli dell’occupazione e dell’inclusione sociale. Un progetto, quindi, che sia imperniato sui fattori dello sviluppo (tramite adeguati investimenti nelle infrastrutture, nell’energia, nelle tecnologie digitali e nella ricerca scientifica) e sulla qualità del lavoro (tramite la formazione, l’istruzione professionale e sulla maggiore mobilità intergenerazionale per affrancare le nuove generazioni da condizioni di marginalità).
Solo impegnandosi ad agire in base a una strategia efficace e flessibile, che abbia una valenza innovatrice e una visuale lungimirante, i partiti europeisti possono rivendicare, a buon diritto, un’autentica leadership politica e un ruolo di mediazione sociale, arginando l’offensiva di sovranisti e populisti.
È dunque indispensabile che le élite politiche e di governo europee sappiano essere all’altezza dei compiti di una classe dirigente dando, nel loro insieme, una dimostrazione effettiva di realismo e responsabilità. Certo, tanti sono i dossier rilevanti e spinosi nell’agenda della Ue (dalle relazioni internazionali alla difesa e alla sicurezza, dalla regolamentazione finanziaria a quella fiscale, dai rapporti commerciali con i partner extracomunitari, ai problemi della giustizia e dell’immigrazione).
Ma appunto per questo è essenziale che si dia adesso, che è ancora possibile, un segnale appropriato e tangibile sulla volontà di ricercare e mettere a punto soluzioni condivise e sostenibili. Spetta quindi, per prime, a Francia e Germania dimostrare che, con l’Accordo di Aquisgrana, con cui hanno rinnovato la loro tradizionale alleanza intergovernativa, non intendono riacquisire un ruolo preminente nella gestione della Ue come in altri tempi, ma agire invece da promotrici di una riforma delle istituzioni e delle regole della Comunità europea, di concerto e in spirito unitario con gli altri Paesi membri.