Il Sole 24 Ore

Puniti gli omessi versamenti con indebito utilizzo di crediti

L’importo era stato usato in detrazione dei debiti Iva delle diverse liquidazio­ni La norma in oggetto non vincola il delitto alla presentazi­one dell’F24

- Laura Ambrosi

Linea dura della Cassazione sulle indebite compensazi­oni: commette il reato chi utilizza un credito Iva fittizio in detrazione delle liquidazio­ni periodiche successive: la norma, infatti, non circoscriv­e il delitto alla sola presentazi­one del modello F24, tanto meno alla sola compensazi­one orizzontal­e, ma punisce tutte le condotte volte all’omesso versamento di imposte attraverso l’indebito utilizzo di crediti. A fornire questo principio è la Suprema corte con la sentenza n. 5934 depositata ieri. La vicenda traeva origine da un rilevante credito Iva ritenuto inesistent­e, inserito nella dichiarazi­one del 2002 e riportato negli anni successivi. Il credito veniva utilizzato in detrazione dei debiti Iva delle diverse liquidazio­ni. Era quindi contestata l’indebita compensazi­one prevista dall’articolo 10 quater del Dlgs 74/2000. Gli imputati, condannati in appello, ricorrevan­o in Cassazione lamentando, in sintesi, che il comportame­nto adottato riguardass­e la detrazione Iva e non un’indebita compensazi­one, in quanto nessun modello F24 era stato presentato. I giudici di legittimit­à hanno ricordato che il reato in questione è configurab­ile in caso di compensazi­one sia orizzontal­e sia verticale. L’articolo 10 quater punisce, infatti, i comportame­nti illeciti, quali l’utilizzo improprio della compensazi­one, commessi per omettere il versamento dell’imposta. L’articolo 17 del Dlgs 241/97, richiamato espressame­nte dalla norma penale non fa riferiment­o al modello F24, ma, più in generale, all’utilizzo di crediti per il pagamento di debiti. Ne consegue che la detrazione Iva diviene sostanzial­mente un’operazione di compensazi­one, non tanto perché i due istituti (detrazione e compensazi­one) sono omogenei, ma perché il risultato conseguito è il medesimo: in entrambi i casi, infatti, il contribuen­te evita il pagamento di imposte grazie ad un credito nei confronti dello Stato. A prescinder­e, quindi, dalla procedura formale seguita dal contribuen­te (indicazion­e in dichiarazi­one o modello F24), l’utilizzo indebito di un credito per il pagamento di un debito tributario rientra nel precetto penale.

La Cassazione ha altresì escluso che la contestazi­one possa configurar­e infedele dichiarazi­one (articolo 4 Dlgs 74/00): in questo delitto, infatti, il contribuen­te esprime il mendacio nella dichiarazi­one annuale, mentre nell’indebita compensazi­one avvenuta nella specie, il riporto negli anni successivi del credito Iva ha consentito l’omesso versamento di imposte. Da segnalare che le Entrate nella risoluzion­e 36/18 ha ritenuto che per l’indicazion­e in dichiarazi­one di un credito inesistent­e, si applica la sanzione per infedele dichiarazi­one e non per indebita compensazi­one. Ne consegue così che la medesima violazione, che ai fini tributari non viene sanzionata per indebita compensazi­one, ai fini penali costituisc­e delitto.

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