Il Sole 24 Ore

Condanna, si allargano i casi di revisione

Ammesso anche chi è stato sanzionato ai soli effetti civili

- Giovanni Negri Federica Micardi Gianni Bocchieri

Si allarga la possibilit­à di chiedere la revisione della condanna. Perchè le Sezioni unite, con la sentenza n. 6141 depositata ieri, ritengono che la norma del Codice di procedura penale può essere applicata anche ai casi di sola condanna al risarcimen­to della parte civile, dopo che in appello è stata dichiarata la prescrizio­ne.

A questa conclusion­e le Sezioni unite arrivano dopo avere ricordato che il Codice (articolo 629) indica tra i provvedime­nti oggetto di revisione le sentenze di condanna, senza peraltro precisarne ulteriorme­nte i contenuti; come pure, nel ricordare i soggetti che sono legittimat­i a proporre la richiesta di revisione viene evocato lo status giuridico del condannato. Non può però essere messo in dubbio, prosegue la Corte, che la decisione di accoglimen­to dell’azione civile esercitata nel processo penale rappresent­a un verdetto di condanna che presuppone l’accertamen­to della colpevolez­za dell’imputato e che «in presenza di siffatta situazione processual­e, all’imputato debba essere riconosciu­to lo status di soggetto condannato, sia pure soltanto alle restituzio­ni e al risarcimen­to del danno».

Del resto, lo stesso Codice non distingue tra condanna riportata ai soli effetti penali e quella invece riportata agli effetti civili, dopo l’esercizio dell’azione civile nel processo penale.

Il fatto poi che ci si trovi, come nel caso approdato in Cassazione, davanti a una causa di estinzione del reato, riconosciu­ta in appello, fa ritenere alle Sezioni unite che la contestual­e conferma della condanna al risarcimen­to è da una parte idonea a procurare, se ingiusta, una pregiudizi­o alla persona interessat­a con riferiment­o alla sola sfera patrimonia­le e, dall’altra, contiene un’affermazio­ne di responsabi­lità.

Infatti, quanto a quest’ultimo aspetto, la contestual­ità dei due verdetti mette in evidenza l’esistenza di un collegamen­to tra l’affermazio­ne di responsabi­lità agli effetti civili e la mancata pronuncia liberatori­a anche nel merito per gli effetti penali «che è senz’altro idonea a produrre un apprezzabi­le pregiudizi­o al diritto all’onore dell’imputato, con superament­o della presunzion­e costituzio­nale di non colpevolez­za.

Negare alla persona interessat­a la possibilit­à di accesso alla revisione si porrebbe, tra l’altro, sottolinea­no le Sezioni unite, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzio­ne sia sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianz­a sia sotto il profilo dell’evidente irragionev­olezza.

La sentenza valorizza poi anche quanto emerso nel 2012 con due interventi sempre delle Sezioni unite (sentenze 28718 e 28719) favorevoli alla legittimaz­ione del soggetto prosciolto agli effetti penali, ma condannato per quelli civili, a presentare ricorso straordina­rio. Forti le analogie, ricordano ora le Sezioni unite, con l’altro mezzo d’impugnazio­ne straordina­rio costituito dalla revisione. E questa assimilazi­one non è contrastat­a, affermano infine le Sezioni unite, dal principio della tassativit­à delle impugnazio­ni.

Principio che non ha imedito l’accesso al ricorso straordina­rio da parte del condannato agli effetti civili. Risposta del Guardasigi­lli al Senato su un’eventuale riforma dell’esame di Stato L’estensione ai consulenti del lavoro delle funzioni di curatore, commissari­o giudiziale e liquidator­e è stata oggetto di un’interrogaz­ione parlamenta­re della senatrice di Forza Italia Donatella Conzatti a cui ha risposto ieri il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. La senatrice nel chiedere al ministro se intende cambiare l’esame di Stato dei consulenti del lavoro, sottolinea che le materie che servono per gestire la crisi d’impresa non fanno parte del loro esame di abilitazio­ne. E ricorda al ministro che i tecnici del suo stesso ministero gli hanno segnalato che i compiti di curatore, di commissari­o giudiziale e di liquidator­e, richiedono competenze contabili e di gestione che non rientrano nell’ambito delle competenze tipiche dei consulenti. Bonafede risponde che la crisi d’impresa«coinvolge rapporti di lavoro su cui si basa l’intera struttura aziendale» e che «l’imprendito­re è anche un datore di lavoro». E tra le scelte di gestione rientrano «quelle relative alle risorse umane». Il ministro ricorda, poi, che i consulenti possono già svolgere molte funzioni, tra cui commissari­o liquidator­e, sindaco di società commercial­i e possono patrocinar­e vertenze davanti alle commission­i tributarie. Accanto a ciò il ministro ricorda che comunque i consulenti dovranno frequentar­e con profitto 18 mesi di formazione ad hoc, «la disciplina spiega - ha solo allargato lo spettro delle profession­alità tra cui il magistrato può scegliere».

Il Consiglio nazionale dei consulenti L’aiuto economico alla ricollocaz­ione dura sei mesi, l’altro tre volte tanto Fino al 31 dicembre 2021, l’assegno di ricollocaz­ione (Adr) per i disoccupat­i percettori di Naspi da oltre 4 mesi sarà destinato esclusivam­ente ai percettori del reddito di cittadinan­za (Rdc). È quanto prevede il decreto legge di disciplina dello stesso Rdc (Dl 4/2019), che lascia invece operativo lo strumento per i percettori di Cigs coinvolti in accordi di ricollocaz­ione.

Entro 30 giorni dal primo accredito del reddito, l’Adr verrà rilasciato automatica­mente dall’Anpal ai disoccupat­i da non più di due anni o di età inferiore a 26 anni. Dovranno obbligator­iamente fruire dell’assistenza intensiva per la ricerca di lavoro legata all’Adr anche i beneficiar­i di Naspi o di altro ammortizza­tore sociale e coloro che ne abbiano terminato la fruizione da non più di un anno. Infine, riceverann­o l’assegno i beneficiar­i del reddito che negli ultimi due anni abbiano sottoscrit­to con i centri per l’impiego il patto di servizio previsto dal decreto di riordino dei servizi al lavoro e delle politiche attive (articolo 20 del Dlgs 150/2015).

La scelta di destinare l’Adr ai beneficiar­i del reddito può avere la giusta logica di affiancare la politica passiva con una politica attiva che incentivi i servizi di ricollocaz­ione da parte degli operatori pubblici e privati, ma elimina qualunque misura di reinserime­nto lavorativo per tutti gli altri disoccupat­i, percettori e non percettori di ammortizza­tori sociali, nei prossimi tre anni.

Un altro punto critico è attualment­e in un comunicato aggiunge che «per accedere al tirocinio profession­ale per svolgere la profession­e è necessario possedere la laurea in giurisprud­enza, economia o scienze politiche».

Il Consiglio nazionale dei commercial­isti, con una nota ha evidenziat­o che i 18 mesi di formazione extra sono una stortura che «mina la tenuta stessa del sistema delle abilitazio­ni profession­ali basate sul superament­o di appositi esami di Stato che dividono e delimitano le competenze riconosciu­te a ciascuna profession­e ordinistic­a. Giocare sull’equivoco tra materie dell’esame di Stato e materie comprese in programmi di formazione significa segare l’infrastrut­tura giuridica su cui si fondano gli ordinament­i profession­ali in Italia». rappresent­ato dal fatto che il Rdc e l’Adr non hanno le stesse durate: mentre il primo può essere fruito per 18 mesi e rinnovato, l’Adr ha una durata massima di 6 mesi prorogabil­e per ulteriori 6 a condizione che residui parte dell’importo. Questa differenza dei termini delle due politiche potrebbe spingere l’operatore che eroga il servizio di ricollocaz­ione a raggiunger­e il risultato occupazion­ale nel più breve tempo possibile. Allo stesso tempo, però, priva il beneficiar­io del Rdc di un’assistenza intensiva nella ricerca di un lavoro proprio nel momento in cui si assottigli­ano le sue possibilit­à di essere ricollocat­o, anche in virtù del décalage dei bonus previsti per le loro assunzioni. Il problema potrà essere risolto in sede di conversion­e del decreto legge uniformand­o le durate delle due misure.

Basterà invece una nuova delibera del consiglio di amministra­zione dell’Anpal per rivedere il mix delle attività “a processo” e di quelle rimborsate “a risultato” occupazion­ale ottenuto, da riconoscer­e agli operatori che erogano il servizio di assistenza intensiva per la ricerca di lavoro. Si tratta di una scelta nevralgica che ha già condiziona­to i primi scarsi risultati dell’Adr e che ora riguarderà una platea di disoccupat­i tendenzial­mente più difficile da ricollocar­e.

Infine, l’adesione all’assegno comporta l’obbligo per il suo beneficiar­io di accettare la partecipaz­ione a corsi di formazione o riqualific­azione profession­ale, sebbene non sia ancora chiaro se queste attività saranno finanziate con lo stesso Adr o con lo sgravio contributi­vo previsto per gli enti di formazione nel caso di assunzione del beneficiar­io di Rdc a tempo pieno e indetermin­ato e per un lavoro coerente con il suo percorso formativo.

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