Condanna, si allargano i casi di revisione
Ammesso anche chi è stato sanzionato ai soli effetti civili
Si allarga la possibilità di chiedere la revisione della condanna. Perchè le Sezioni unite, con la sentenza n. 6141 depositata ieri, ritengono che la norma del Codice di procedura penale può essere applicata anche ai casi di sola condanna al risarcimento della parte civile, dopo che in appello è stata dichiarata la prescrizione.
A questa conclusione le Sezioni unite arrivano dopo avere ricordato che il Codice (articolo 629) indica tra i provvedimenti oggetto di revisione le sentenze di condanna, senza peraltro precisarne ulteriormente i contenuti; come pure, nel ricordare i soggetti che sono legittimati a proporre la richiesta di revisione viene evocato lo status giuridico del condannato. Non può però essere messo in dubbio, prosegue la Corte, che la decisione di accoglimento dell’azione civile esercitata nel processo penale rappresenta un verdetto di condanna che presuppone l’accertamento della colpevolezza dell’imputato e che «in presenza di siffatta situazione processuale, all’imputato debba essere riconosciuto lo status di soggetto condannato, sia pure soltanto alle restituzioni e al risarcimento del danno».
Del resto, lo stesso Codice non distingue tra condanna riportata ai soli effetti penali e quella invece riportata agli effetti civili, dopo l’esercizio dell’azione civile nel processo penale.
Il fatto poi che ci si trovi, come nel caso approdato in Cassazione, davanti a una causa di estinzione del reato, riconosciuta in appello, fa ritenere alle Sezioni unite che la contestuale conferma della condanna al risarcimento è da una parte idonea a procurare, se ingiusta, una pregiudizio alla persona interessata con riferimento alla sola sfera patrimoniale e, dall’altra, contiene un’affermazione di responsabilità.
Infatti, quanto a quest’ultimo aspetto, la contestualità dei due verdetti mette in evidenza l’esistenza di un collegamento tra l’affermazione di responsabilità agli effetti civili e la mancata pronuncia liberatoria anche nel merito per gli effetti penali «che è senz’altro idonea a produrre un apprezzabile pregiudizio al diritto all’onore dell’imputato, con superamento della presunzione costituzionale di non colpevolezza.
Negare alla persona interessata la possibilità di accesso alla revisione si porrebbe, tra l’altro, sottolineano le Sezioni unite, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione sia sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza sia sotto il profilo dell’evidente irragionevolezza.
La sentenza valorizza poi anche quanto emerso nel 2012 con due interventi sempre delle Sezioni unite (sentenze 28718 e 28719) favorevoli alla legittimazione del soggetto prosciolto agli effetti penali, ma condannato per quelli civili, a presentare ricorso straordinario. Forti le analogie, ricordano ora le Sezioni unite, con l’altro mezzo d’impugnazione straordinario costituito dalla revisione. E questa assimilazione non è contrastata, affermano infine le Sezioni unite, dal principio della tassatività delle impugnazioni.
Principio che non ha imedito l’accesso al ricorso straordinario da parte del condannato agli effetti civili. Risposta del Guardasigilli al Senato su un’eventuale riforma dell’esame di Stato L’estensione ai consulenti del lavoro delle funzioni di curatore, commissario giudiziale e liquidatore è stata oggetto di un’interrogazione parlamentare della senatrice di Forza Italia Donatella Conzatti a cui ha risposto ieri il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. La senatrice nel chiedere al ministro se intende cambiare l’esame di Stato dei consulenti del lavoro, sottolinea che le materie che servono per gestire la crisi d’impresa non fanno parte del loro esame di abilitazione. E ricorda al ministro che i tecnici del suo stesso ministero gli hanno segnalato che i compiti di curatore, di commissario giudiziale e di liquidatore, richiedono competenze contabili e di gestione che non rientrano nell’ambito delle competenze tipiche dei consulenti. Bonafede risponde che la crisi d’impresa«coinvolge rapporti di lavoro su cui si basa l’intera struttura aziendale» e che «l’imprenditore è anche un datore di lavoro». E tra le scelte di gestione rientrano «quelle relative alle risorse umane». Il ministro ricorda, poi, che i consulenti possono già svolgere molte funzioni, tra cui commissario liquidatore, sindaco di società commerciali e possono patrocinare vertenze davanti alle commissioni tributarie. Accanto a ciò il ministro ricorda che comunque i consulenti dovranno frequentare con profitto 18 mesi di formazione ad hoc, «la disciplina spiega - ha solo allargato lo spettro delle professionalità tra cui il magistrato può scegliere».
Il Consiglio nazionale dei consulenti L’aiuto economico alla ricollocazione dura sei mesi, l’altro tre volte tanto Fino al 31 dicembre 2021, l’assegno di ricollocazione (Adr) per i disoccupati percettori di Naspi da oltre 4 mesi sarà destinato esclusivamente ai percettori del reddito di cittadinanza (Rdc). È quanto prevede il decreto legge di disciplina dello stesso Rdc (Dl 4/2019), che lascia invece operativo lo strumento per i percettori di Cigs coinvolti in accordi di ricollocazione.
Entro 30 giorni dal primo accredito del reddito, l’Adr verrà rilasciato automaticamente dall’Anpal ai disoccupati da non più di due anni o di età inferiore a 26 anni. Dovranno obbligatoriamente fruire dell’assistenza intensiva per la ricerca di lavoro legata all’Adr anche i beneficiari di Naspi o di altro ammortizzatore sociale e coloro che ne abbiano terminato la fruizione da non più di un anno. Infine, riceveranno l’assegno i beneficiari del reddito che negli ultimi due anni abbiano sottoscritto con i centri per l’impiego il patto di servizio previsto dal decreto di riordino dei servizi al lavoro e delle politiche attive (articolo 20 del Dlgs 150/2015).
La scelta di destinare l’Adr ai beneficiari del reddito può avere la giusta logica di affiancare la politica passiva con una politica attiva che incentivi i servizi di ricollocazione da parte degli operatori pubblici e privati, ma elimina qualunque misura di reinserimento lavorativo per tutti gli altri disoccupati, percettori e non percettori di ammortizzatori sociali, nei prossimi tre anni.
Un altro punto critico è attualmente in un comunicato aggiunge che «per accedere al tirocinio professionale per svolgere la professione è necessario possedere la laurea in giurisprudenza, economia o scienze politiche».
Il Consiglio nazionale dei commercialisti, con una nota ha evidenziato che i 18 mesi di formazione extra sono una stortura che «mina la tenuta stessa del sistema delle abilitazioni professionali basate sul superamento di appositi esami di Stato che dividono e delimitano le competenze riconosciute a ciascuna professione ordinistica. Giocare sull’equivoco tra materie dell’esame di Stato e materie comprese in programmi di formazione significa segare l’infrastruttura giuridica su cui si fondano gli ordinamenti professionali in Italia». rappresentato dal fatto che il Rdc e l’Adr non hanno le stesse durate: mentre il primo può essere fruito per 18 mesi e rinnovato, l’Adr ha una durata massima di 6 mesi prorogabile per ulteriori 6 a condizione che residui parte dell’importo. Questa differenza dei termini delle due politiche potrebbe spingere l’operatore che eroga il servizio di ricollocazione a raggiungere il risultato occupazionale nel più breve tempo possibile. Allo stesso tempo, però, priva il beneficiario del Rdc di un’assistenza intensiva nella ricerca di un lavoro proprio nel momento in cui si assottigliano le sue possibilità di essere ricollocato, anche in virtù del décalage dei bonus previsti per le loro assunzioni. Il problema potrà essere risolto in sede di conversione del decreto legge uniformando le durate delle due misure.
Basterà invece una nuova delibera del consiglio di amministrazione dell’Anpal per rivedere il mix delle attività “a processo” e di quelle rimborsate “a risultato” occupazionale ottenuto, da riconoscere agli operatori che erogano il servizio di assistenza intensiva per la ricerca di lavoro. Si tratta di una scelta nevralgica che ha già condizionato i primi scarsi risultati dell’Adr e che ora riguarderà una platea di disoccupati tendenzialmente più difficile da ricollocare.
Infine, l’adesione all’assegno comporta l’obbligo per il suo beneficiario di accettare la partecipazione a corsi di formazione o riqualificazione professionale, sebbene non sia ancora chiaro se queste attività saranno finanziate con lo stesso Adr o con lo sgravio contributivo previsto per gli enti di formazione nel caso di assunzione del beneficiario di Rdc a tempo pieno e indeterminato e per un lavoro coerente con il suo percorso formativo.