Gucci, ai dipendenti volontariato pagato come ore di lavoro
Da ieri l’azienda ha anche la certificazione «Great place to work» e lancia il programma «Changemakers», sul modello americano che paga ai dipendenti anche le ore dedicate a progetti di charity
È già in testa a diverse classifiche internazionali, tra cui quella di brand più desiderato al mondo: da ieri Gucci ha ricevuto anche la certificazione come «Great place to work», in Italia e negli Stati Uniti, e ha lanciato il programma che paga ai dipendenti anche le ore dedicate a progetti di charity.
«Viviamo un momento magico, da almeno due anni. Un successo di vendite e di immagine che si rinnova stagione dopo stagione e che si traduce in conti estremamente positivi. Un successo che ho quasi paura a godermi: mi rende orgoglioso del lavoro di squadra che abbiamo fatto, a ogni livello, in questa azienda, ma allo stesso tempo mi spaventa». Con la schiettezza e apparente leggerezza che gli sono proprie, Marco Bizzarri, presidente e amministratore delegato di Gucci, spiega che l’iperattivismo del brand è legato non tanto a un’ansia da prestazione, ma alla consapevolezza che il successo non si spiega, né si mantiene, con il caso o con la fortuna. Non passa giorno senza che da Gucci arrivi notizia di un format innovativo per i negozi o nella comunicazione digitale; che venga annunciata una collaborazione con artisti di ogni campo o un premio al direttore creativo Alessandro Michele o allo stesso Bizzarri. La lista di classifiche in cui Gucci è al primo posto è lunghissima: l’ultima in ordine di tempo è quella di List Index, che individua i marchi e i prodotti di moda più desiderati su scala mondiale. Ieri si è aggiunta la certificazione, per l’Italia e gli Stati Uniti come Great place to work (letteralmente “posto fantastico in cui lavorare”) dell’omonima organizzazione internazionale, Gptw. Anche in questo caso, per Bizzarri è uno stimolo a fare meglio, ancora prima di essere un premio.
«Abbiamo innescato un circolo virtuoso che richiede una grande armonia all’interno dell’azienda. Tutto ciò che è in nostro potere di fare per migliorare la qualità della vita di chi lavora in Gucci è importante quanto l’efficienza dei progetti produttivi, la distribuzione, il retail e la libertà di cui deve godere l’ufficio stile– spiega il ceo di Gucci –. Sono tanti però i fattori esterni, specie per un marchio globale come Gucci, che non possiamo controllare e che potranno sempre presentare criticità o problemi da risolvere. Internamente, cerchiamo di migliorare ogni giorno sul fronte delle pari opportunità, del rispetto delle minoranze, della gestione dell’equilibrio tra lavoro e vita privata». Da qui l’annuncio, contestuale alla certificazione Gptw, del programma Gucci Changemakers, Ispirato dal modello 1% della califgorniana Salesforce, si prefissa di mettere a disposizione l’1% di tempo lavorativo di tutti gli oltre 17mila dipendenti (2-4 giorni lavorativi retribuiti a seconda del tipo di contratto) per attività di volontariato a favore dell’associazione da loro preferita, purché ricada in una di queste quattro categorie: parità di genere, rifugiati e poveri, educazione, ambiente.
Espansivo ed entusiasta per natura come ogni emiliano, Bizzarri racconta quasi con pudore quello che è stato fatto negli anni per migliorare la vita dei 17mila lavoratori in Italia e all’estero, un percorso che culmina con Gucci Changemakers. Come se fosse spaventato di sembrare accondiscendente, di bearsi della propria magnanimità. «Sono il primo a sapere quanto sia difficile cambiare un modello organizzativo e introdurre una nuova cultura aziendale o arricchire quella che già c’è. Non sto dicendo che è stato facile ottenere la certificazione Great place to work. Perché non lo è stato e ci vorrà impegno per mantenerla – conclude l’amministratore delegato di Gucci –. Quello che voglio dire, e ne sono intimamente convinto, è che il successo di un’azienda, di qualunque dimensione o settore, può durare solo se le persone sono contente di iniziare le loro giornate lavorative, da casa o da remoto, grazie alle varie forme di smartworking. Sembra buon senso, ma sappiamo tutti che un conto è la teoria, un altro la pratica».
TOCCO MAGICO Marco Bizzarri, ex ceo di Bottega Veneta ed ex capo della divisione lusso di Kering, ceo di Gucci dal 2014