CHI ATTACCA LA BANCA COLPISCE I PIÙ DEBOLI
«Ipiù colpiti da quello che accade oggi, dal disfacimento della moneta e del risparmio monetario - in banca o alle Assicurazioni generali - sono i ceti lavoratori, per cui quelle sono in pratica le uniche risorse e riserve… La sana finanza oggi in Italia non è un interesse reazionario, è un interesse nazionale e se a qualcuno deve importare più di altri è proprio a quei ceti a cui più particolarmente il Suo partito si dirige e che più devono tenere a che finalmente, dopo i lunghi anni di trattenimenti vari sulla loro pelle, lo Stato sia amministrato in modo da tutelare le loro esigenze vitali». Questo scriveva 72 anni fa un grande banchiere, Raffaele Mattioli, a Palmiro Togliatti, leader del Pci, all’epoca il principale riferimento dei ceti popolari (del popolo, diremmo oggi). Parole che hanno un suono molto attuale, con l’Italia che ripiomba nella recessione e con l’incubo del debito pubblico e lo spread in continuo rialzo. Nel 1947 Mattioli parlava della necessità che la sinistra si facesse carico del tema della stabilità finanziaria e Togliatti seppe ascoltare il suggerimento.Ora, sul piano istituzionale, il guardiano della stabilità finanziaria è la banca centrale. La quale ha continuato a fare il suo dovere in questi anni interminabili di vacche magre, che hanno prodotto esiti drammatici sul tessuto produttivo ed esiti tutto sommato accettabili sulla struttura delle banche.
Diversamente da Togliatti, coloro che si considerano i principali referenti del popolo identificano oggi la banca centrale come il capro espiatorio preferito, nonostante procedure di nomina definite da leggi e riconducibili al Trattato europeo. Solo perché è di moda sparare sul pianista? O per mero calcolo elettorale? Potrebbe rivelarsi un calcolo sbagliato. Il “popolo” in genere vota, oltre che con la pancia, anche col portafoglio. E, prima o poi, sa riconoscere chi, per leggerezza o irresponsabilità, invece di tutelarle, ha peggiorato le sue «esigenze vitali».