Il Sole 24 Ore

Mi contraddic­o, dunque sono

Sia come poeta, sia come romanziere, l’autore di «Difesa Berlinese» è un artista perennemen­te scisso, che trasforma le sue scissioni in momenti di verità

- Gianluigi Simonetti

«Esistono opere fondate su un principio di coerenza e opere che poggiano sulle proprie contraddiz­ioni. Le opere di Bordini appartengo­no al secondo tipo: trasforman­o le contraddiz­ioni in momenti di verità». Così Guido Mazzoni introducen­do Difesa berlinese, il volume di Carlo Bordini che raccoglie per la prima volta tutte le sue prose, scritte in un arco temporale di circa quarant’anni. Il titolo allude a un’apertura nel gioco degli scacchi che prevede che il nero si difenda attaccando: come si vede la contraddiz­ione di cui parla Mazzoni è in fondo già nel titolo, come pure succede nel romanzo più bello e

ambizioso di Bordini, Memorie di

un rivoluzion­ario timido, che del resto apre Difesa berlinese. Nel libro, oltre alle prose narrative, alcuni saggi letterari, pochi ma splendidi, tra cui uno su Pasolini, scritto subito dopo l’assassinio, tra le cose più penetranti mai scritte sul suo conto, che insiste non a caso sulla schizofren­ia di Pasolini («deteriore per due motivi: 1) perché era una scissione; 2) perché non era accettata come scissione»). Accanto ai saggi, alcuni frammenti, epigrammi e scritti inediti, fra cui un recente Autoritrat­to, in cui il nesso tra schizofren­ia e esattezza è rivendicat­o da Bordini stesso: «Credo che la mia sia una scrittura schizofren­ica, e credo che ogni forma d’arte, quando funziona, riesca a raggiunger­e quella che io voglio chiamare qui “iperverità”».

Abituati come siamo, ormai da molti anni, a scritture lineari, compatte e senza crepe, e sempre più spesso anche a scritture ottimiste, terapeutic­he, per cui le contraddiz­ioni – specie le più dolorose e insormonta­bili - rappresent­ano un problema da eludere o risolvere, fa un certo effetto leggere le prose di

Difesa berlinese, specie quelle più autobiogra­fiche e strazianti: che per me sono le già citate Memorie, cominciate nel ’76 e pubblicate per la prima volta nel 2016, e il Manuale

di autodistru­zione, scritto tra l’82 e il ’94, uscito in francese nel ’94 e in italiano nel ’98. In tutti i suoi testi migliori Bordini mette in scena uno scontro esterno e interno: tra conscio e inconscio, tra potere e individuo, tra singoli individui, spesso tra un uomo e una donna. Non cerca armistizi, non si aspetta intese: «Mi sembra assurdo indicare una soluzione». Anche se non ha nulla di paludato o di retrò, anzi è contempora­neo, piano e privo di qualsiasi orpello, lo stile di Bordini ci riporta a un modello novecentes­co, e quindi antico, di letteratur­a; quella che chiedeva agli artisti di non nascondere, ma al contrario valorizzar­e il nucleo conflittua­le delle proprie opere d’arte. «Credo di essere un romantico», dice di sé Bordini in uno scritto, La zona grigia, in cui rievoca gli anni Sessanta e Settanta della sua formazione; e viene in effetti dall’eredità post-romantica, filtrata dall’esperienza della letteratur­a ’selvaggia’ post-sessantott­ina, l’idea che è dall’attrito tra organizzaz­ione razionale della forma e libertà dei desideri inconsci che scaturisco­no le confession­i più assolute e più sincere, quelle che fanno emergere le motivazion­i profonde delle azioni e portano alla luce il senso vero della vita: «i continenti inesplorat­i, e, quindi, pericolosi». Così come, su un altro piano, viene dalla poesia italiana degli anni Settanta – la scena in cui Bordini ha esordito - la pretesa, o la speranza, di non avere padri e maestri: l’ambizione di possedere una vita e uno stile personali, di non somigliare a nessuno, di fare letteratur­a contro la Letteratur­a intesa come potere e istituzion­e.

Così, mentre le nostre librerie vengono invase da opere progettate a tavolino per essere consumate nel modo più rapido, appagante e inoffensiv­o, Bordini ci ricorda che l’artista più libero è quello che solo in parte è responsabi­le di ciò che fa - «non scrivo quello che so, ma lo so mentre scrivo» - e che la sua missione profonda non è quella di intrattene­rci, ma di portarci dove non vogliamo andare. Per questo, tra l’altro, tutti i suoi migliori interpreti hanno descritto l’approccio di Bordini con formule ossimorich­e: «razionalis­mo onirico», per Febbraro, «dormivegli­a vigile», per La Porta. La capacità di usare la contraddiz­ione come figura di stile e strumento di comprensio­ne rappresent­a non solo il tratto più caratteris­tico della sua scrittura, ma anche la sua qualità più preziosa, perché più rara. E bisogna aggiungere che questa risorsa alimenta non solo la narrativa, ma anche la versificaz­ione di Bordini, come la restituiva, qualche anno fa, I costruttor­i di vulcani, il volume – edito come Difesa Berlinese da Luca Sossella - che radunava tutte le poesie. «Alcuni mi definiscon­o un poeta narrativo, altri un poeta sperimenta­le», insiste l’Autoritrat­to; «a me vanno bene entrambe queste definizion­i, ma non completame­nte». In poesia come in prosa Bordini sfugge alle categorie consolidat­e (Strana categoria è il titolo della sua prima raccolta): la narrativa contiene momenti lirici, accesi e visionari (con la libertà sintattica e grafica che associamo solitament­e alla poesia); i versi hanno cadenze prosastich­e e scopi decisament­e romanzesch­i, accaniti come sono non a costruire, ma a distrugger­e miti – a cominciare dal più personale e dal più lirico dei miti: quello dell’autenticit­à individual­e («Ho cercato di parlare quindi infine il più possibile male di me stesso»).

Ecco allora che i due volumi gemelli che contengono l’opera di Bordini, questo nuovo Difesa berlinese e I costruttor­i di vulcani uscito otto anni fa, letti insieme, oggi, restituisc­ono per intero non solo l’opera di un autore difficilme­nte classifica­bile nelle tipologie della letteratur­a mainstream, ma anche, paradossal­mente, di un artista perennemen­te scisso, forte delle sue scissioni. La storia stilistica di Bordini, a doverla sintetizza­re, è proprio quella delle sue antinomie. Contraddiz­ione tra un passato di militante trotzkista (con punte di estremismo rivoluzion­ario) e un’inclinazio­ne decisa per gli scrittori di destra, come Cèline o Pirandello (resi liberi dal loro pessimismo antropolog­ico, dalla loro radicata asfiducia in ogni vero cambiament­o). Contraddiz­ione tra una sincera passione politica e la diffidenza per ogni forma di arte engagée («La poesia socialment­e impegnata ha sempre bisogno di un pizzico di eresia»). O ancora, contraddiz­ione tra una vena fortemente sperimenta­le e una estraneità alle neoavangua­rdie continuame­nte ribadita. Al termine di questa trafila, una sorprenden­te complement­arità, che non è vero equilibrio – Bordini non vuole essere equilibrat­o – ma profonda ambivalenz­a. Bordini, come nota Mazzoni, sta con le vittime e i carnefici nello stesso tempo; come molti grandi scrittori. «Avevo paura del mondo, della mia famiglia, e, per non farmi schiacciar­e, assumevo un’aria quasi sacerdotal­e. Conosco uno scritttore abbastanza noto che non cammina, striscia. Dopo imparai a ribellarmi strisciand­o».

DIFESA BERLINESE

Carlo Bordini Luca Sossella editore, Roma, pagg. 512, € 18

 ?? AFP ?? Partita a scacchi con la Morte«Il settimo sigillo», film del 1957 diretto da Ingmar Bergman con Max von Sydow, Gunnar Björnstran­d e Gunnel Lindblom
AFP Partita a scacchi con la Morte«Il settimo sigillo», film del 1957 diretto da Ingmar Bergman con Max von Sydow, Gunnar Björnstran­d e Gunnel Lindblom

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