Uomini e treni: paesaggi, boom economico, affetti e nostalgie d’Italia visti attraverso le foto di Fondazione Fs
Un volume fotografico della Fondazione Fs racconta la storia gloriosa delle Ferrovie italiane. Dal vapore alle Frecce, la rivoluzione su rotaia ha accompagnato la crescita del Paese
Erano tre. Di giorno, un Rapido (il mitico Treno Azzurro) e un Direttissimo; la notte, un Espresso che non finiva mai, diciotto e più vagoni, i letti per i signori, cuccette e posti seduti o in piedi per tutti gli altri. Oggi c’è un treno ad Alta Velocità praticamente ogni dieci minuti, Frecciarossa o Italo. Da Milano a Napoli la rivoluzione ferroviaria vissuta dal nostro Paese nel giro di pochi anni sta tutta in queste cifre. Un progresso incredibile, con tempi di percorrenza più che dimezzati, comfort e sicurezza (sulla puntualità resta qualcosa da sistemare…).
Di uomini e ferro, lo straordinario volume fotografico che la Fondazione Fs Italiane ha curato per Rizzoli, racconta anche questa ultima storia. La magia, sì la magia!, di convogli che sfrecciano a 300 chilometri all’ora, toccando stazioni dall’architettura avveniristica come quelle di Reggio Emilia Mediopadana e di Napoli Afragola (disegnate, rispettivamente, da Santiago Calatrava e Zaha Hadid). Treni democratici, presi ogni giorno da viaggiatori di ogni ceto sociale. Eredi dell’Italia di prima, seconda e terza classe, alle quali il libro dedica gran parte delle sue immagini.
È una storia lunga, lunghissima, ininterrotta, che inizia con il vapore. Uomini e ferro, anzi, uomini “di” ferro. Persone orgogliosissime del proprio lavoro, neri in volto come la locomotiva che conducevano in condizioni infernali, estate e inverno non contava, l’importante era andare a tutta birra. E dietro la macchina sbuffante, le carrozze con sedili di legno per i poverelli e le poltrone damascate con tendine ai finestrini per chi se le poteva permettere. Due, tre, infinite Italie che cominciavano a muoversi freneticamente, dal Brennero a Ragusa, da Bardonecchia a Lecce.
Erano tre. Pum pum pum. Tre petardi che, ancora fino all’inizio degli anni 80 del secolo scorso (ieri!) annunciavano al macchinista il segnale di via impedita nei giorni di fitta nebbia. Già, chi se la ricorda la nebbia vera? Nell’umida Padania significava non vedere nulla a tre, quattro metri di distanza. E allora, sulle linee secondarie come quelle che ancora fanno capo a Cremona o Mantova, il “rosso” veniva ripetuto con quei tre botti formidabili, che sulle “Littorine” diesel facevano sobbalzare anche i viaggiatori. Cos’è, hanno sparato? Tranquilli, è il manovratore di una stazioncina persa in una bruma da Amarcord che segnala al macchinista di doversi fermare.
Trent’anni fa, e sembra passata un’era geologica. Ogni foto, rigorosamente proveniente dagli enormi archivi della Fondazione Fs Italiane, sottolinea questo passaggio epocale, questa storia in parallelo che ha accompagnato il farsi del nostro Paese. Nord e Sud, pianure e montagne, ponti e gallerie, tempi di vacanza e interventi dopo catastrofi naturali. Il passaggio dal vapore e dal diesel all’elettricità, la conquista della velocità, l’evoluzione del design degli arredi. Le linee secondarie, quelle più spettacolari, che suscitano un fremito nel viaggiatore appassionato. La «Transiberiana d’Italia», da Sulmona a Carpinone, passando per Rivisondoli, Campo di Giove e Roccaraso, tra i paesaggi innevati della Majella; la tortuosa e ripida Porrettana, per decenni unico passaggio attraverso l’Appennino sulla direttrice Bologna-Firenze; l’infinita linea jonica, centinaia di chilometri quasi sempre in vista del mare, da Taranto a Reggio Calabria.
Sopra tutto e sopra tutti, però, le donne e gli uomini “veri”, sempre dietro, protagonisti essenziali di questa evoluzione. Il capotreno, il capostazione, il manovale, i facchini, i macchinisti, i controllori. Addirittura impegnati nel Concorso Abbellimento Stazioni, che premiava su base nazionale chi sapeva mantenere al meglio gli edifici in cui svolgevano le loro mansioni: piante, fiori, e un lindore che non possono non farci rimpiangere molto di quel passato.
«Istantanee», «Coincidenze», «Particolari», «Codici», «Mercati», «Italiani»: sono i titoli di alcuni dei capitoli in cui il volume è strutturato. Come scrive Ferruccio de Bortoli nella Prefazione, «questo libro celebra l’ingegno italiano, l’importanza nel tempo di una rete capillare di trasporto delle persone e delle merci. Il sistema linfatico del Paese». Non sempre le cose sono andate per il meglio, non sempre il sistema ha funzionato a dovere. Si può fare molto di più per le merci, che potrebbero e dovrebbero essere trasportate su rotaia; e ovviamente per i pendolari, che richiedono a gran voce l’attenzione che meritano.
Ma erano solo tre, e ora sono diventati decine e decine i collegamenti tra Milano e Napoli (e Torino, e Salerno, e Genova, e Venezia…). Questo è il progresso vero, che cambia e migliora la vita di tutti. Accorciando le distanze, avvicinando le persone. C’è da esserne fieri.