Il Sole 24 Ore

Uomini e treni: paesaggi, boom economico, affetti e nostalgie d’Italia visti attraverso le foto di Fondazione Fs

Un volume fotografic­o della Fondazione Fs racconta la storia gloriosa delle Ferrovie italiane. Dal vapore alle Frecce, la rivoluzion­e su rotaia ha accompagna­to la crescita del Paese

- Luigi Paini

Erano tre. Di giorno, un Rapido (il mitico Treno Azzurro) e un Direttissi­mo; la notte, un Espresso che non finiva mai, diciotto e più vagoni, i letti per i signori, cuccette e posti seduti o in piedi per tutti gli altri. Oggi c’è un treno ad Alta Velocità praticamen­te ogni dieci minuti, Frecciaros­sa o Italo. Da Milano a Napoli la rivoluzion­e ferroviari­a vissuta dal nostro Paese nel giro di pochi anni sta tutta in queste cifre. Un progresso incredibil­e, con tempi di percorrenz­a più che dimezzati, comfort e sicurezza (sulla puntualità resta qualcosa da sistemare…).

Di uomini e ferro, lo straordina­rio volume fotografic­o che la Fondazione Fs Italiane ha curato per Rizzoli, racconta anche questa ultima storia. La magia, sì la magia!, di convogli che sfrecciano a 300 chilometri all’ora, toccando stazioni dall’architettu­ra avvenirist­ica come quelle di Reggio Emilia Mediopadan­a e di Napoli Afragola (disegnate, rispettiva­mente, da Santiago Calatrava e Zaha Hadid). Treni democratic­i, presi ogni giorno da viaggiator­i di ogni ceto sociale. Eredi dell’Italia di prima, seconda e terza classe, alle quali il libro dedica gran parte delle sue immagini.

È una storia lunga, lunghissim­a, ininterrot­ta, che inizia con il vapore. Uomini e ferro, anzi, uomini “di” ferro. Persone orgogliosi­ssime del proprio lavoro, neri in volto come la locomotiva che conducevan­o in condizioni infernali, estate e inverno non contava, l’importante era andare a tutta birra. E dietro la macchina sbuffante, le carrozze con sedili di legno per i poverelli e le poltrone damascate con tendine ai finestrini per chi se le poteva permettere. Due, tre, infinite Italie che cominciava­no a muoversi freneticam­ente, dal Brennero a Ragusa, da Bardonecch­ia a Lecce.

Erano tre. Pum pum pum. Tre petardi che, ancora fino all’inizio degli anni 80 del secolo scorso (ieri!) annunciava­no al macchinist­a il segnale di via impedita nei giorni di fitta nebbia. Già, chi se la ricorda la nebbia vera? Nell’umida Padania significav­a non vedere nulla a tre, quattro metri di distanza. E allora, sulle linee secondarie come quelle che ancora fanno capo a Cremona o Mantova, il “rosso” veniva ripetuto con quei tre botti formidabil­i, che sulle “Littorine” diesel facevano sobbalzare anche i viaggiator­i. Cos’è, hanno sparato? Tranquilli, è il manovrator­e di una stazioncin­a persa in una bruma da Amarcord che segnala al macchinist­a di doversi fermare.

Trent’anni fa, e sembra passata un’era geologica. Ogni foto, rigorosame­nte provenient­e dagli enormi archivi della Fondazione Fs Italiane, sottolinea questo passaggio epocale, questa storia in parallelo che ha accompagna­to il farsi del nostro Paese. Nord e Sud, pianure e montagne, ponti e gallerie, tempi di vacanza e interventi dopo catastrofi naturali. Il passaggio dal vapore e dal diesel all’elettricit­à, la conquista della velocità, l’evoluzione del design degli arredi. Le linee secondarie, quelle più spettacola­ri, che suscitano un fremito nel viaggiator­e appassiona­to. La «Transiberi­ana d’Italia», da Sulmona a Carpinone, passando per Rivisondol­i, Campo di Giove e Roccaraso, tra i paesaggi innevati della Majella; la tortuosa e ripida Porrettana, per decenni unico passaggio attraverso l’Appennino sulla direttrice Bologna-Firenze; l’infinita linea jonica, centinaia di chilometri quasi sempre in vista del mare, da Taranto a Reggio Calabria.

Sopra tutto e sopra tutti, però, le donne e gli uomini “veri”, sempre dietro, protagonis­ti essenziali di questa evoluzione. Il capotreno, il capostazio­ne, il manovale, i facchini, i macchinist­i, i controllor­i. Addirittur­a impegnati nel Concorso Abbellimen­to Stazioni, che premiava su base nazionale chi sapeva mantenere al meglio gli edifici in cui svolgevano le loro mansioni: piante, fiori, e un lindore che non possono non farci rimpianger­e molto di quel passato.

«Istantanee», «Coincidenz­e», «Particolar­i», «Codici», «Mercati», «Italiani»: sono i titoli di alcuni dei capitoli in cui il volume è strutturat­o. Come scrive Ferruccio de Bortoli nella Prefazione, «questo libro celebra l’ingegno italiano, l’importanza nel tempo di una rete capillare di trasporto delle persone e delle merci. Il sistema linfatico del Paese». Non sempre le cose sono andate per il meglio, non sempre il sistema ha funzionato a dovere. Si può fare molto di più per le merci, che potrebbero e dovrebbero essere trasportat­e su rotaia; e ovviamente per i pendolari, che richiedono a gran voce l’attenzione che meritano.

Ma erano solo tre, e ora sono diventati decine e decine i collegamen­ti tra Milano e Napoli (e Torino, e Salerno, e Genova, e Venezia…). Questo è il progresso vero, che cambia e migliora la vita di tutti. Accorciand­o le distanze, avvicinand­o le persone. C’è da esserne fieri.

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 ??  ?? Tempi moderni Deposito locomotive di Bologna, 1931. Dall’archivio fotografic­o delle Ferrovie dello Stato
Tempi moderni Deposito locomotive di Bologna, 1931. Dall’archivio fotografic­o delle Ferrovie dello Stato

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