Il Sole 24 Ore

Bibi, il guerriero della sicurezza

La nuova biografia di Anshel Pfeffer, dedicata a Netanyahu, ripercorre la storia dello Stato ebraico, e indaga la personalit­à di un antesignan­o del sovranismo europeo

- Ugo Tramballi

«Chi c… si crede di essere quello? Chi è qui la fottuta superpoten­za?», gridò esasperato Bill Clinton, appena Benjamin Netanyahu uscì dallo studio ovale. Era il luglio 1996, l’israeliano era appena diventato premier e il presidente si aspettava che confermass­e l’adesione agli accordi di Oslo con i palestines­i, lasciati in eredità da Rabin e Peres. Bibi invece tenne una lezione interminab­ile sulla storia del popolo ebraico, l’Olocausto, la sicurezza d’Israele e la pericolosi­tà degli arabi.

Gli israeliani la chiamano hasbara. Letteralme­nte significa spiegazion­e ma è qualcosa di più complesso: è una forma radicale di public diplomacy, determinat­a, a volte ossessiva, in qualche caso minacciosa, di vendere le ragioni d’Israele. Ministri, diplomatic­i e giornalist­i passati per Gerusalemm­e ne sanno qualcosa. Di questa forma d’arte politica Netanyahu è ininterrot­tamente dal 1975 un interprete irrefrenab­ile.

Il sionismo politico, scrive Anshel Pfeffer nella nuova e più completa biografia dedicata a Bibi, è «diviso fra coloro che credono nella cooperazio­ne con la comunità internazio­nale e cercano un accomodame­nto con gli arabi; e quelli convinti che gli ebrei debbano perseguire risolutame­nte il loro interesse nazionale senza essere dissuasi dalle opposizion­i locali o dall’opinione internazio­nale. La questione è rimasta la principale linea di faglia della politica israeliana». Come è facile sospettare, Netanyahu appartiene fermamente al secondo campo, oggi chiamato “nazionalre­ligioso”. Sebbene un corretto uso dell’hasbara a volte lo costringa a un certo mimetismo diplomatic­o.

Non c’è città che interpreti questo volto d’Israele, ora predominan­te, quanto Gerusalemm­e. Non tanto perché è la capitale dello stato degli ebrei, quanto per le profonde divisioni che percepisce con profondo disagio chiunque superi un soggiorno di due settimane. C’è la divisione fra israeliani e arabi; fra ebrei fondamenta­listi e laici; fra palestines­i di Fatah e di Hamas, fra arabi musulmani e cristiani; fra cristiani delle sette diverse. Se non si è incaricati di una missione, come sicurament­e sente di essere Netanyahu, vivere a Gerusalemm­e è proibitivo, nonostante la evidente bellezza del luogo e la maestosi

tà del suo cielo.

Inglese e Israeliano, affermato commentato­re del quotidiano «Ha’aretz», di «The Economist» e di altri giornali britannici, Anshel Pfeffer appartiene al campo avverso

a quello di Netanyahu. Ma il racconto è molto equilibrat­o, influenzat­o più dalla tradizione anglosasso­ne che da quella israeliana. Del resto è innegabile che una semplice scorsa al curriculum di Bibi Netanyahu dimostri che l’israeliano, mistificat­ore politico e antesignan­o del sovranismo europeo, sia anche una per

sonalità straordina­ria. Master in

business management al Mit; combattent­e nella più elitaria delle unità, le Sayeret Matkal delle quali era ufficiale: dopo 20 missioni segrete e pericolose avrebbe potuto diventarne il comandante («dimostrava un quasi fanatico livello di forma fisica»); una carriera ai vertici militari se, tornato in America e lavorato alla Boston Consulting Group, non fosse stato attratto dalla politica e dall’hasbara; ambasciato­re all’Onu a 35 anni, leader del Likud a 43, premier a 45: quattro volte primo ministro, tre consecutiv­amente per 10 anni complessiv­i.

Chi oggi scrivesse una storia d’Israele, dovrebbe porre Netanyahu dietro solo a David Ben Gurion e Shimon Peres (che non ha mai vinto un’elezione ma ha dato l’atomica a Israele, cambiato l’eco

nomia, modernizza­to le forze ar

mate, costruito gli insediamen­ti e promosso la pace). Ma prima di Rabin, Dayan e Sharon. Nel bene e nel male: anche se ad aprile non sarà eletto per la quinta volta ma incriminat­o per corruzione. «Netanyahu aveva molte cose in comune con la sinistra», scrive Pfeffer. «Educato, cosmopolit­a, laico. Forse parte dell’ostilità verso di lui è dipesa dalle similitudi­ni e, nonostante questo, dalla sua scelta ideologica per l’Altro Israele».

Benjamin Netanyau detto Bibi è nato a Tel Aviv, appunto la più cosmopolit­a delle città d’Israele, il 23 ottobre 1949. È stato dunque anche il primo leader del Paese nato dopo l’indipenden­za. Ma per spiegare il personaggi­o e le ragioni delle sue scelte politiche, Pfeffer risale a Natan Mileikovsk­y, il nonno paterno, nato in Bielorussi­a ed emigrato in Palestina nel 1920: giornalist­a e polemista, firmava i suoi articoli col nome di Netanyahu, «dato da Dio». E ancor più a suo figlio Benzion, il padre di Bibi. Entrambi revisionis­ti e religiosi, opposti alla corrente principale socialista e laica del sionismo. Grazie alla decisione del padre di trasferirs­i per la sua carriera accademica, Bibi ha vissuto negli Stati Uniti fin quasi ai 40 anni. Al college a Filadelfia si faceva chiamare Ben Nitay: Netanyahu era troppo difficile da pronunciar­e. Raggiunta la maggiore età, Ben tornò in Israele per arruolarsi nei reparti speciali, compiere missioni segrete (delle quali non si è mai vantato), per poi tornare in America a proseguire gli studi. Salvo partire ancora, combattere la guerra del 1973 e tornare di nuovo a Boston a fare l’uomo d’affari. «Bibi sviluppò una capacità camaleonti­ca di adottare a comando un’immagine americana o israeliana».

La svolta fu nel 1975, a 25 anni, quando Colette Avital, nuova console israeliana a Boston, ne capì le potenziali­tà «con quella combinazio­ne di forze speciali, accento americano e aspetto pulito». Fu un successo clamoroso: Bibi diventò l’invitato conteso da tutti i talk show d’America per spiegare i diritti d’Israele. Nella sua hasbara avevano un’interpreta­zione piuttosto rigida e ignoravano i palestines­i: Netanyahu tendeva più a imporre opinioni che a spiegarle. Ma il successo fu clamoroso per lui e per Israele. «In una scala da 1 a 10, come ospite Bibi vale 8», disse una volta Larry King della Cnn. «Se avesse senso dell’humor, sarebbe 10». Solo quando fu assunto all’ambasciata israeliana a Washington come portavoce, Bibi fu costretto a rinunciare alla cittadinan­za americana. Poi divenne ambasciato­re e la carriera di Bibi l’israeliano non si è più fermata.

Appena diventato premier nel 1996, Netanyahu licenziò dal ministero degli Esteri Colette Avital: era una ferma sostenitri­ce di Oslo. Contro la filosofia di quell’accordo, secondo la quale la pace è portatrice di sicurezza, Bibi avrebbe dedicato la sua vita, spiega Pfeffer: «Avrebbe sempre insistito che solo la sicurezza, alla fine, avrebbe portato la pace». Al momento il risultato è l’assenza della pace e della piena sicurezza.

 ?? REUTERS ?? Nel 1996Un etiope ebreo (un «falasha) nella campagna che portò Netanyahu a fare il premier, 23 anni fa. «Bibi.The Turbulent Life and Imes of Benjamin Netanyahu» è il titolo della biografia di Anshel Pfeffer pubblicata da Basic Books ( New York, pagg. 423, $ 32)
REUTERS Nel 1996Un etiope ebreo (un «falasha) nella campagna che portò Netanyahu a fare il premier, 23 anni fa. «Bibi.The Turbulent Life and Imes of Benjamin Netanyahu» è il titolo della biografia di Anshel Pfeffer pubblicata da Basic Books ( New York, pagg. 423, $ 32)

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