La solitudine di una donna nel cuore della jihad
Da sola oltre le linee della jihad (Brioschi, 444 pagg., 20 euro) della giornalista investigativa Souad Mekhennet (araba, musulmana, cittadina tedesca, collaboratrice di quotidiani importanti come il «New York Times») è uno dei libri più rilevanti che ci sia capitato di leggere sull’attualità sociale, politica e militare del mondo islamico all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle di New York.
Quest’imponente reportage narrativo – dall’Algeria alla Siria, dall’Iraq al Pakistan, dall’Egitto all’Afghanistan – può essere letto in vari modi: anzitutto come una profonda riflessione sull’identità degli emigrati musulmani in Europa di prima e di seconda generazione, poiché la Mekhennet ha vissuto in prima persona, in Germania, la diffidenza e la discriminazione. Tuttavia questo suo essere allo stesso tempo musulmana e tedesca le ha permesso di capire con severa empatia le ragioni psicologiche profonde di chi, colmo di risentimento, di frustrazione e di rabbia – per mille ragioni che sarebbe ora troppo difficile riassumere – ha deciso di abbandonarsi al sogno di un Califfato, che è più una pulsione psicologica che religiosa, tanto che una delle intuizioni forti del libro è che sono gli estremisti a radicalizzare l’islam e non viceversa («non è la religione a radicalizzare le persone, sono le persone a radicalizzare la religione»).
Poi, il libro è anche un grande autoritratto della professione di reporter di guerra, di come ci si approccia alle fonti, ai rischi, a territori sconosciuti, al dolore – a conferma del fatto che quello giornalistico è un lavoro durissimo, se fatto con serietà e rigore. Un altro aspetto di questo lavoro è le denuncia dei crimini compiuti da entrambe le parti, senza distinzioni ideologiche: dai massacri degli sciiti iracheni alle torture della Cia, dagli eccidi dell’Isis ad Abu Ghraib.
Nell’insieme, si ricava questo insegnamento: che l’Occidente è stato troppo disinvolto nel gioco delle alleanze temporanee e degli interessi. Basti pensare alla pretestuosa guerra americana in Iraq, le cui conseguenze sono più vive che mai, tanto che ormai l’asse dello scontro, proprio a causa di questa guerra, si è spostato dal conflitto Occidente contro Islam verso quello sciiti contro sunniti, movente deflagrato della guerra in Siria e dello scontro gigantesco tra Iran e Arabia Saudita («Se oggi il Medio Oriente facesse fronte comune e smettesse di alimentare il conflitto fra sciiti e sunniti, che combattono nel nome di una fede sulla cui vera essenza nessuno riesce a trovare un accordo, i nostri figli avrebbero l’opportunità di crescere studiando invece di imparare a schivare i proiettili e le bombe. Iran e Arabia Saudita dovrebbero mettere fine alla guerra silenziosa che combattono da anni e smettere di radicalizzare i propri giovani»).
Da sola oltre le linee della jihad, infine, è il romanzo giornalistico di una solitudine, perché la Mekhennet non nasconde la difficoltà di realizzarsi sentimentalmente vivendo con orgoglio ma senza fanatismo le proprie origini, con adesione ma senza spirito da crociato il proprio occidentalismo laico, fino in fondo impegnata in una missione di racconto e di denuncia di chi distrugge i ponti che dovrebbero collegare queste due civiltà che, per chi li conosce, non possono affatto essere ridotte a due Moloch dall’identità granitica.
In questo senso la sua solitudine è la solitudine di chi, in questo preciso momento storico, abbraccia la causa della complessità e dell’intelligenza.