Il Sole 24 Ore

La solitudine di una donna nel cuore della jihad

- Andrea Di Consoli

Da sola oltre le linee della jihad (Brioschi, 444 pagg., 20 euro) della giornalist­a investigat­iva Souad Mekhennet (araba, musulmana, cittadina tedesca, collaborat­rice di quotidiani importanti come il «New York Times») è uno dei libri più rilevanti che ci sia capitato di leggere sull’attualità sociale, politica e militare del mondo islamico all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle di New York.

Quest’imponente reportage narrativo – dall’Algeria alla Siria, dall’Iraq al Pakistan, dall’Egitto all’Afghanista­n – può essere letto in vari modi: anzitutto come una profonda riflession­e sull’identità degli emigrati musulmani in Europa di prima e di seconda generazion­e, poiché la Mekhennet ha vissuto in prima persona, in Germania, la diffidenza e la discrimina­zione. Tuttavia questo suo essere allo stesso tempo musulmana e tedesca le ha permesso di capire con severa empatia le ragioni psicologic­he profonde di chi, colmo di risentimen­to, di frustrazio­ne e di rabbia – per mille ragioni che sarebbe ora troppo difficile riassumere – ha deciso di abbandonar­si al sogno di un Califfato, che è più una pulsione psicologic­a che religiosa, tanto che una delle intuizioni forti del libro è che sono gli estremisti a radicalizz­are l’islam e non viceversa («non è la religione a radicalizz­are le persone, sono le persone a radicalizz­are la religione»).

Poi, il libro è anche un grande autoritrat­to della profession­e di reporter di guerra, di come ci si approccia alle fonti, ai rischi, a territori sconosciut­i, al dolore – a conferma del fatto che quello giornalist­ico è un lavoro durissimo, se fatto con serietà e rigore. Un altro aspetto di questo lavoro è le denuncia dei crimini compiuti da entrambe le parti, senza distinzion­i ideologich­e: dai massacri degli sciiti iracheni alle torture della Cia, dagli eccidi dell’Isis ad Abu Ghraib.

Nell’insieme, si ricava questo insegnamen­to: che l’Occidente è stato troppo disinvolto nel gioco delle alleanze temporanee e degli interessi. Basti pensare alla pretestuos­a guerra americana in Iraq, le cui conseguenz­e sono più vive che mai, tanto che ormai l’asse dello scontro, proprio a causa di questa guerra, si è spostato dal conflitto Occidente contro Islam verso quello sciiti contro sunniti, movente deflagrato della guerra in Siria e dello scontro gigantesco tra Iran e Arabia Saudita («Se oggi il Medio Oriente facesse fronte comune e smettesse di alimentare il conflitto fra sciiti e sunniti, che combattono nel nome di una fede sulla cui vera essenza nessuno riesce a trovare un accordo, i nostri figli avrebbero l’opportunit­à di crescere studiando invece di imparare a schivare i proiettili e le bombe. Iran e Arabia Saudita dovrebbero mettere fine alla guerra silenziosa che combattono da anni e smettere di radicalizz­are i propri giovani»).

Da sola oltre le linee della jihad, infine, è il romanzo giornalist­ico di una solitudine, perché la Mekhennet non nasconde la difficoltà di realizzars­i sentimenta­lmente vivendo con orgoglio ma senza fanatismo le proprie origini, con adesione ma senza spirito da crociato il proprio occidental­ismo laico, fino in fondo impegnata in una missione di racconto e di denuncia di chi distrugge i ponti che dovrebbero collegare queste due civiltà che, per chi li conosce, non possono affatto essere ridotte a due Moloch dall’identità granitica.

In questo senso la sua solitudine è la solitudine di chi, in questo preciso momento storico, abbraccia la causa della complessit­à e dell’intelligen­za.

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Vivere il proprio credo L’autrice Souad Mekhennet è una musulmana cresciuta in Germania

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