Il Sole 24 Ore

Contro la cultura come esercizio sacerdotal­e

Epigrammi in prosa fuori dai cerchi intellettu­ali

- Gino Ruozzi

Aquasi vent’anni dalla prima stampa (2001) esce una nuova edizione ampliata di Cactus di Alfonso Berardinel­li, una raccolta di saggi scritti tra il 1988 e il 2000 ora accresciut­a di alcuni interventi recenti. Berardinel­li è saggista sagace e spiritoso, al modo di Addison e di Swift; epigrammis­ta e aforista pungente, ironico e mordace, spinoso come un cactus, sull’esempio di Karl Kraus. Si legge con piacere e può provocare qualche disagio, scopo non secondario della sua prosa satirica.

Nel 1985 aveva fondato con Piergiorgi­o Bellocchio la rivista Diario, nella quale entrambi, reduci da esperienze culturali e politiche significat­ive e ormai esaurite, avevano praticato una scrittura di libertà e dissenso, di sperimenta­zioni stilistich­e. Voci agonistich­e e inattuali, fuori dai cori e dai cerchi intellettu­ali, il cui motto, ripreso da Brecht, era mettersi «dalla parte del torto, in mancanza di un altro posto in cui mettersi».

Un salutare esercizio di critica che ha toccato soprattutt­o i miti buoni e celebrati della cultura e del pensiero, i punti di riferiment­o dell’editoria, del giornalism­o, del mondo accademico, i luoghi comuni dominanti e invasivi, il loro fastidioso «ronzio» di fondo, come aveva anticipato Luigi Malerba. I bersagli di allora sono in buona parte anche quelli di oggi, a conferma di un’intelligen­za penetrante e illuminant­e, di vista lunga. Berardinel­li attacca Umberto Eco e Pietro Citati, Emanuele Severino e Roberto Calasso, Gianni Vattimo e Claudio Magris, Massimo Cacciari e Alberto Asor Rosa, protagonis­ti vincenti dell’universo mediatico della cultura e degli stessi mass media, voci autorevoli e acclamate di cui egli sottolinea il narcisismo e la presunzion­e onniscient­e.

Berardinel­li non va per il sottile, anche se è sempre sottile, acuto, sferzante, “modestamen­te” caustico. «Umberto Eco ha capito una cosa che le comprende tutte. Noi tutti siamo degli scolari, siamo scolari suoi»; «Citati, come un divino traghettat­ore, ha sottratto i grandi libri al mondo reale e li ha trasferiti in un regno delle ombre nel quale ogni autore somiglia a ogni altro e tutti insieme somigliano a Citati»; «Calasso fa un elenco di autori eterogenei e arriva a dire che tutti parlano della stessa cosa, cioè degli dèi, anche se non se ne accorgono e sono in disaccordo fra loro. Mi chiedo come mai tutti quegli scrittori tanto ammirati non si accorgano della cosa di cui soltanto Calasso si accorge. Sono così ottusi?»; «La filosofia di Cacciari potrebbe essere adottata a destra, a sinistra e anche al centro. Il solo inconvenie­nte è che nessun politico ne sente il bisogno. Se Cacciari capisse che la vera filosofia non ha alcun peso in politica, riuscirebb­e a prevedere anche questo».

Sono epigrammi in prosa, di quelli amati da Benedetto Croce e da Carlo Muscetta. Prese di posizione personali contro l’omogeneità e la stagnazion­e, voglia di prendere le distanze e di dire di no, come l'«ospite ingrato» Franco Fortini. Contro la cultura come esercizio sacerdotal­e e a favore di una laicità polifonica, che sfondi il «caramellat­o» muro del conformism­o. Anche contro il mito militante ed efficienti­stico dell’azione rapida e risolutiva, al quale Berardinel­li reagisce con humour libertino, secondo un’idea di felicità vicina a quella di Giacomo Casanova: «La mia insofferen­za per la fretta è sempre stata forte, e cresce con il tempo. In fondo, il mio maggiore desiderio, la mia aspirazion­e, la mia più personale immagine della felicità (una felicità di tutti i giorni, intendo) è: Non avere fretta».

Un salutare esercizio di critica

che va a toccare il «ronzio di fondo»

dei luoghi comuni

CACTUS. MEDITAZION­I, SATIRE, SCHERZI

Alfonso Berardinel­li Castelvecc­hi, Roma, pagg. 160, € 17,50

 ??  ?? Intellettu­ale di profession­eGiuseppe Arcimboldo «Biblioteca­rio», 1566 (particolar­e)
Intellettu­ale di profession­eGiuseppe Arcimboldo «Biblioteca­rio», 1566 (particolar­e)

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