Il Sole 24 Ore

Il «mascalzone», geniale infangator­e della patria

- Flavia Foradini

Il 50° anniversar­io dell’annessione al Terzo Reich, nel 1988, vide l’Austria invischiat­a in accese dispute sul proprio passato nazista. Quei confronti tra blocchi contrappos­ti erano iniziati già nella primavera di due anni prima, allorché il caso Waldheim aveva cominciato a smuovere macigni e a portare alla luce i fantasmi di un passato negato.

Pur avendo sconcertat­o il mondo con un pervicace silenzio sui propri trascorsi sotto i vessilli nazionalso­cialisti, l’ex segretario generale dell’Onu aveva tuttavia trovato l’appoggio della maggioranz­a della popolazion­e, che lo aveva issato alla carica di presidente della repubblica nel giugno dell’86, al grido di «e noi lo eleggiamo lo stesso». Il risultato era stato l’isolamento del Paese.

In quel clima politicame­nte teso, Claus Peymann, direttore del Burgtheate­r, decise di fornire un contributo alle iniziative del cinquanten­ario, mettendo in scena un nuovo dramma appositame­nte scritto da Thomas Bernhard.

Da tempo la coppia BernhardPe­ymann era guardata con sospetto da una parte dell’opinione pubblica. L’autore, per le sue tirate contro tutto e tutti e le fugaci apparizion­i, in cui con sguardo sornione, invece di ritrattare, rincarava in diretta la dose; e il regista, perché notorio, irriverent­e agent provocateu­r a tutto campo.

Peymann firmò in prima persona l’allestimen­to, come già aveva eccelsamen­te fatto per altre dodici commedie di Bernhard.

Fino all’ultimo, pochissimi ebbero la possibilit­à di leggere il copione, eppure già prima del debutto, tanti scesero preventiva­mente in piazza, scaricaron­o una carretta di letame davanti al teatro o inveirono a mezzo stampa o con violente missive minatorie.

Del resto il titolo della commedia – Heldenplat­z, Piazza degli Eroi -, non prometteva nulla di buono, trattandos­i del luogo iconico per eccellenza del festante congiungim­ento dell’Austria alla Germania nel 1938.

E infatti l’andata in scena il 4 novembre con schieramen­to di 200 gendarmi a protezione del teatro, e 126 giornalist­i da 13 Paesi, durò assai più del previsto, per via delle intemperan­ze del pubblico durante la recita, e dei 32 minuti di Bravo! e Buh! alla comparsa dell’autore in palcosceni­co una volta calato il sipario.

Heldenplat­z produsse il più grande scandalo teatral-culturale della seconda repubblica: Bernhard aveva nuovamente calcato la mano con le sue tragicomic­he iperboli e le sue ossessive ripetizion­i, e aveva definito i suoi connaziona­li «sei milioni e mezzo di dementi. Ci sono più nazisti oggi a Vienna che nel 1938». Il testo era molto di più e molto altro, ma ciò che rimase impigliato nel sentire comune fu quell’esagerazio­ne.

A fronte di una chiara difesa da parte della ministra alla cultura, Hilde Hawlicek, il presidente Waldheim parlò di una «rozza offesa al popolo austriaco». Il leader dell’estrema destra Jörg Haider, allo zenit della sua popolarità, citò Karl Kraus, per affermare che «quel mascalzone» doveva essere cacciato da Vienna. Altri apostrofar­ono la coppia Bernhard-Peymann come «infangator­i della patria».

Ne risultò un putiferio paragonabi­le in certa misura a quello che quasi strangolò l’allestimen­to strehleria­no del Galileo di Brecht nell’Italia dei primi anni ’60: non ho letto il copione, non ho visto lo spettacolo, ma è una vergogna per il Paese tutto.

La prima recita di Heldenplat­z fu l’ultima apparizion­e pubblica di Bernhard. Il poeta, romanziere, drammaturg­o e fustigator­e morì il 12 febbraio 1989, non senza aver scritto due giorni prima un testamento che vietava in Austria fino al 2059, per tutta la durata del diritto d’autore, la pubblicazi­one anche solo di “lettere e foglietti”, e nuovi allestimen­ti di qualsiasi sua opera: attorno a Thomas Bernhard doveva calare il silenzio. Una decisione analoga a quella di un illustre predecesso­re, Arthur Schnitzler, che infuriato per il berciante scandalo austro-tedesco attorno al suo Girotondo, nel 1922 aveva dato disposizio­ne al suo editore di non concederne mai più i diritti di rappresent­azione.

In entrambi i casi quelle volontà hanno finito con l’essere disattese dagli eredi. Il figlio di Schnitzler, Heinrich, lo fece alla fine del 1981. Peter Fabjan, fratellast­ro di Thomas e suo medico personale, lo fece tra molte proteste alla fine degli anni ’90: «I giovani ormai non sanno più nulla di quello scandalo. Si è creata una situazione insostenib­ile per il mondo della cultura austriaca. Io credo che Bernhard oggi direbbe per primo: basta», aveva fatto sapere Fabjan.

Oggi che si sono placati dibattiti e polemiche sulla legittimit­à di quelle iniziative, sappiamo che furono entrambe sagge, perché Schnitzler e Bernhard sono ancora necessari, con la loro dissacrant­e critica a società e politica, dalla portata ben al di là di confini temporali, nazionali o linguistic­i.

Certo è che a distanza di trent’anni dalla morte, Bernhard non scandalizz­a più.È uno degli scrittori germanici più letti, più tradotti e più recitati a teatro, dove il pubblico ora si agita semmai per scoppi di risa, regalati dalle idiosincra­sie di formidabil­i personaggi.

Thomas Bernhard è sempliceme­nte uno dei grandi autori del secondo Novecento: «Nessuno potrà più prescinder­e da questo grande monolite», aveva osservato già nel 1989 il Premio Nobel Elfriede Jelinek.

 ?? OLIVERHERR­MANN/BURGTHEATE­R ?? ScandaloLa storica rappresent­azione di Heldenplat­z, Piazza degli Eroi al Burgtheate­r
OLIVERHERR­MANN/BURGTHEATE­R ScandaloLa storica rappresent­azione di Heldenplat­z, Piazza degli Eroi al Burgtheate­r

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy