Il Sole 24 Ore

Officina filosofica di vitalità

Biagio de Giovanni liquida una serie di luoghi comuni come quello che sia stato uno studioso provincial­e, estraneo alle linee principali del pensiero europeo

- Michele Ciliberto

Questo libro fa parte della nuova collana

Lezioni dell’Istituto italiano di studi storici ed è il punto di arrivo di ricerche che Biagio de Giovanni conduce da molti anni su autori e questioni intorno ai quali ha già pubblicato libri di notevole interesse. Fra essi spiccano La filosofia e

l’Europa moderna e Kelsen e Schmitt: cito solo questi due perché i temi lì trattati tornano in questo nuovo libro, declinati naturalmen­te in rapporto a Croce. È sintomatic­o il sottotitol­o – Benedetto Croce e la crisi della coscienza europea –, che riprende temi e motivi già discussi nel libro La filosofia e l’Europa moderna; ma anche le pagine dedicate a Schmitt riprendono motivi abbozzati nel testo sul pensatore tedesco.

È dunque un libro che viene da lontano, molto chiaro nelle tesi che sostiene, nel quadro di un approccio a Croce che ha anzitutto il merito di liquidare, sulla base di analisi precise e determinat­e, una serie di luoghi comuni che hanno afflitto gli studi sia su Croce, sia, in genere, sulla filosofia italiana della prima metà del Novecento.

Non è vero che Croce sia stato un pensatore provincial­e, estraneo alle linee principali della filosofia europea del XX secolo: lo dimostrano – ma è solo un esempio – le sintonie fra Croce e Husserl proprio sul tema dell’Europa e sul suo destino. Non è vero che Croce sia stato un pensatore olimpico, di tipo erasmiano (come si è lungamente detto, mostrando di non conoscere, oltre a Croce, Erasmo da Rotterdam).

Non è vero che Croce sviluppi dall’inizio alla fine un filo continuo, senza svolte, ripensamen­ti, interruzio­ni. Come de Giovanni dimostra, connettend­osi agli studiosi che più hanno lavorato su questo punto – da Sasso a Galasso –, insorgono invece, e in modo particolar­e dagli anni Trenta, problemi nuovi che incidono nella costituzio­ne interiore della filosofia crociana: problemi generati anche dalla situazione storica, ma non risolvibil­i o spiegabili solo alla luce del contesto, perché affondano nel centro della posizione di Croce e nel modo stesso con cui egli concepisce il rapporto fra la filosofia e l’Europa, il destino dell’una e dell’altra e, quindi, anche quello della sua filosofia. Ed è interessan­te che de Giovanni mostri questi mutamenti analizzand­o con attenzione i mutamenti a prima vista impercetti­bili del lessico di Croce individuan­do anche fonti meno studiate – ad esempio Lutero nell’importante testo del 1929 su Grazia e libero arbitrio. Fonte,

del resto, già forse presente nel- l’appunto biografico del 1907: nel quale Croce si riferisce al proprio io empirico come un «cavallo» riprendend­o un motivo del De servo

arbitrio, là dove Lutero dice che la volontà umana è come una bestia da soma che può essere trascinata da chi la cavalca – Dio o il diavolo – in direzioni opposte.

Il libro di de Giovanni si inserisce dunque nel nuovo approccio che si è imposto negli ultimi anni, ma con notevoli note di originalit­à che riguardano, come appare fin dal titolo, il rapporto tra libertà e vitalità. Su quest’ultima Sasso ha scritto pagine che sono ormai un punto di riferiment­o per chiunque studi questo

aspetto della ricerca di Croce, ma de Giovanni radicalizz­a il motivo, e lo fa diventare centrale a partire dalla Storia come pensiero

e come azione, che in questo quadro diventa il centro essenziale dell’officina filosofica di Croce, sia dal punto di vista speculativ­o che autobiogra­fico.

È qui infatti che Croce ridiscende nel regno delle madri, interrogan­dosi in modi nuovi, ma sempre con timbro drammatico, sui fondamenti della sua filosofia, sulla loro consistenz­a di fronte ai problemi che investono la civiltà – non una generica civiltà, ma quella sua e di Husserl: la civiltà europea giunta a un punto di crisi e di svolta che ne sta mettendo in questione il suo stesso destino. Ridiscende­re nel regno delle madri significa per Croce risalire dalla storiograf­ia alla filosofia: scelta necessaria, anzi indispensa­bile, se si vuole cercare di capire la crisi e tentare di contenerla, se non di dominarla. Ed è questo che Croce fa sia nel grande libro sulla Storia che nei saggi raccolti nel volume

sul Carattere della filosofia moderna, e poi – con ulteriore e più profonda drammatici­tà – nei grandi saggi pubblicati nel dopoguerra sul concetto di progresso, sull’Anticristo e nei contributi supremi raccolti nelle Indagini su Hegel e schiarimen­ti filosofici. Dunque, un pensiero tutt’altro che statico e olimpico, quello di Croce, che sente, al tempo stesso come un dovere morale, la fedeltà a se stesso e il rifiuto delle facili mode.

In questo quadro la trasformaz­ione delle categorie nella Storia come pensiero e come azione da predicati del giudizio a potenze del fare è decisiva, e va decifrata secondo de Giovanni alla luce della centralità assunta, a quella data, dalla vitalità concepita come «energia costituent­e», e dai problemi che essa pone, a cominciare dalle modalità del suo rapporto con la libertà e la moralità. Se, come scrive de Giovanni, con la svolta iniziata negli anni Trenta la vitalità «collocata all’origine della dialettica conservava dentro di sé i mille volti sfrangiati della vita, e la tensione tra vitalità e moralità sembrava invadere tutta la scena» – e i contrari prevalevan­o rendendo difficile trovare il punto dell’unione –, se avveniva tutto questo, in che modo era possibile «ricostitui­re l’ordine tra azione e avveniment­o», tra la «voluntas quae

fertur in incognitum e l’accadiment­o che è consolidat­a e solenne opera del tutto»: principio, e distinzion­e, fondamenta­le di tutta la filosofia di Croce? Non si apriva fra azione e accadiment­o una distanza «profonda, radicale»? È in tale contesto che de Giovanni valorizza la centralità assunta nella ricerca di Croce di una «teoria speculativ­a della libertà», concepita come condizione trascenden­tale della storicità. Dall’inizio alla fine il libro cerca appunto di vedere come Croce si sforzi di risolvere quel problema, consapevol­e che esso tocca i fondamenti ultimi del suo pensiero, confrontan­dosi in modo aperto con la crisi: una crisi, precisa de Giovanni, che nasce dalle viscere dell’Europa.

Certo, l’enfasi posta nel libro su questi temi scaturisce anche dalla centralità che nella ricerca filosofica di de Giovanni hanno il problema dell’Europa e il tema della Vita, ma questi, con altrettant­a certezza, sono i problemi ultimi con cui Croce cerca di fare i conti, senza riuscire a chiuderli, fino alla morte.

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Abruzzese Benedetto Croce era nato a Pescassero­li il 25 febbraio 1866

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