Fatta l’Italia, si fece l’arte degli italiani
Al Museo di San Domenico una mostra su tendenze, protagonisti e capolavori del secondo Ottocento italiano, nei cinquant’anni dall’Unità alla Prima guerra mondiale
Come le precedenti mostre del San Domenico di Forlì, in particolare quelle dedicate nel 2013 e nel 2015 alle grandi stagioni del Novecento e del Liberty italiani, anche la rasegna che apre oggi ha l’ambizione di riconsiderare con uno sguardo nuovo, fuori dagli schemi e da pregiudizi spesso difficili da scalfire, lo svolgimento dell’arte italiana nel mezzo secolo che va dall’Unità alla Grande Guerra. Si può infatti sostenere come l’Ottocento finisca definitivamente solo con questo drammatico evento e con l’affermazione del Futurismo inteso a tagliare defi
nitivamente i legami con la tradizione che, in realtà, anche i movimenti più innovativi che l’avevano preceduto non avevano reciso. Bisogna tener conto come in Italia, anche nei momenti di svolta e di rinnovamento, sia stato inevitabile fare i conti con l’eredità di un passato glorioso. E questo passato è riaffiorato con tutto il suo fascino e il suo peso anche, e soprattutto, negli anni che hanno visto gli intellettuali e gli artisti impegnati sul fronte comune di formare una coscienza unitaria che seguisse l’unificazione politica del paese. «Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani» avrebbe dichiarato il più disincantato dei “padri della patria”, il pittore, letterato, musicista, uomo politico Massimo d’ Azeglio.
Come la letteratura tra Carducci e D’Annunzio, i riconosciuti vati dell’orgoglio nazionale, e la musica, interprete tra Verdi, Puccini e Mascagni delle grandi passioni proiettase nella storia come nella contemporaneità, anche le arti fgurative, ed in particolare la pittura, sono state un formidabile strumento di aggregazione, tra la esaltante mitizzazione del passato, la memoria delle recenti lotte risorgimentali, la dolorosa testimonianza del presente. Per capire le attese, le speranze, le delusioni, insomma il complesso travaglio di un
paese che ancora profondamente di
viso economicamente, socialmente e culturalmente, faticava a stare unito, bisogna dimenticare le luminose tavolette dei Macchiaioli, le evocative atmosfere della Scapigliatura, le ardite sperimentazioni cromatiche degli Scapigliati, cioè le opere di quei movimenti che si sono espressi come un' alternativa alla cultura figurativa dominante, quella cosiddetta arte “ufficiale” che è stata invece, nel bene e nel male, un fomidabile strumento celebrativo e di propaganda non solo per creare il consenso, ma anche il mezzo più efficace, popolare e “democratico” per far conoscere agli italiani i percorsi appassionanti e contradditori di una storia antica e recente caratterizzata da slanci comuni, ma anche da tante divisioni; per farli commuovere alla inedita rappresentazione delle piaghe sociali; per riscoprire, fuori dalle grandi città che le esigenze della modernità stavano cambiando irrimediabilmente, i paesaggi incantati del “Bel Paese” caratterizzato anche per quanto riguarda il suo aspetto naturale e i costumi dalla diversità che continuava a attirare i viaggiatori stranieri.
Per restituire finalmente una visione dell’Ottocento più fedele allo spirito di quegli anni, visto con uno sguardo nuovo che coincida con quello del pubblico del tempo, sono stati movimentati i quadri di grande formato. Si tratta spesso di emozionanti capolavori, dimenticati per la loro difficile movimentazione o perché nascosti nei depositi dei musei, che sono stati quelli presentati, premiati, acquisiti dallo Stato o dagli enti pubblici, ma anche oggetto di dibattito o di scandalo alle grandi Esposizioni Nazionali. A partire da quella allestita a Firenze nel 1861 alle rassegne che hanno celebrato nel 1911, tra Torino, Firenze e Roma (le tre città che erano state capitali) il cinquantenario dell’Unità. Queste mostre hanno veramente cambiato la storia d’Italia, rappresentando una straordinaria occasione di confronto e di aggregazione del pubblico. Tenute periodicamente oltre che nelle tre città ricordate a Parma, Bologna, Venezia, Genova, Napoli e Palermo sono state eventi epocali per le migliaia di espositori e i milioni di visitatori coinvolti. Con un incalzante dialogo tra pittura e scultura, che si confrontano sui temi emergenti, abbiamo voluto rievocare nelle sezioni della rassegna forlivese il percorso dei generi che hanno appassionato il pubblico del tempo, dalla pittura di storia alla rappresentazione della vita moderna, dall’arte di denuncia sociale allora di particolare attualità, al ritratto, al paesaggio. Capolavori noti, ma visti in una nuova luce, e straordinarie riscoperte di opere allora esaltate e poi dimenticate ci conducono in uno straordinario viaggio nel tempo e nello spazio, dagli splendori della Magna Grecia ai misteri della Roma imperiale, dalle passioni civili ma anche dalle lotte fratricide del Medioevo agli slanci eroi del Risorgimento, celebrato come quella guerra di popolo da cui era nata la nuova nazione.
Questa nascita verrà celebrata nel 1911 con una serie di eventi e rassegne eccezionali tra cui ha avuto un singolare rilievo la sterminata Mostra del ritratto italiano dalla fine del secolo XVI all’anno 1861. Realizzata da Ugo Ojetti in Palazzo Vecchio a Firenze, è stata l’epica narrazione, attraverso le testimonianze di un genere meno vincolato dalle regole quale il ritratto, di come si sia delineata nei secoli predendenti l’Unità l’immagine degli Italiani. Viene rievocata con una selezione dei capolavori antichi e moderni, da Reni ad Hayez, allora esposti. Ma altri ritratti emergono nelle sezioni dedicate ai protagonisti della politica e della cultura, alla vita moderna, alla scena mondana dominata dal nuovo ruolo che la donna ha saputo conquistare. I ritratti di Hayez, Corcos, Boldini, Balla, Boccioni ci consentono di seguire l’evoluzione del genere che meglio degli altri testimonia l’evoluzione di una società in movimento.
Ma è proprio nella sorpresa che si incontra ad ogni passo sta il fascino di una mostra dove muta continuamente lo scenario. Dai capolavori del vecchio Hayez, interprete di una bellezza che assume il valore di simbolo e delle passioni del Medioevo, si passa alla potenza visionaria del finalmente visibile Valentino a Capua di Previati, un immenso dipinto leggendario come le epiche battaglie risorgimentali di Induno e Cammarano, presente con la strepitosa Breccia di Porta Pia. L’epica dei vinti, resa universale dal Signorini dell’Alzaia e dalla dolorosa attualità degli Emigranti di Tommasi, appare placarsi nelle Due madri e nei solenni panorami alpini, come quello monumetale di Alla stanga, che fanno di Segantini, celebrato da D’Annunzio, il genio che nei suoi occhi “umili e degni” ha rispecchiato “l’infinita bellezza” della natura.
Dopo l’epopea risorgimentale le arti divennero potente strumento
d’aggregazione