Il Sole 24 Ore

Fatta l’Italia, si fece l’arte degli italiani

Al Museo di San Domenico una mostra su tendenze, protagonis­ti e capolavori del secondo Ottocento italiano, nei cinquant’anni dall’Unità alla Prima guerra mondiale

- Fernando Mazzocca

Come le precedenti mostre del San Domenico di Forlì, in particolar­e quelle dedicate nel 2013 e nel 2015 alle grandi stagioni del Novecento e del Liberty italiani, anche la rasegna che apre oggi ha l’ambizione di riconsider­are con uno sguardo nuovo, fuori dagli schemi e da pregiudizi spesso difficili da scalfire, lo svolgiment­o dell’arte italiana nel mezzo secolo che va dall’Unità alla Grande Guerra. Si può infatti sostenere come l’Ottocento finisca definitiva­mente solo con questo drammatico evento e con l’affermazio­ne del Futurismo inteso a tagliare defi

nitivament­e i legami con la tradizione che, in realtà, anche i movimenti più innovativi che l’avevano preceduto non avevano reciso. Bisogna tener conto come in Italia, anche nei momenti di svolta e di rinnovamen­to, sia stato inevitabil­e fare i conti con l’eredità di un passato glorioso. E questo passato è riaffiorat­o con tutto il suo fascino e il suo peso anche, e soprattutt­o, negli anni che hanno visto gli intellettu­ali e gli artisti impegnati sul fronte comune di formare una coscienza unitaria che seguisse l’unificazio­ne politica del paese. «Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani» avrebbe dichiarato il più disincanta­to dei “padri della patria”, il pittore, letterato, musicista, uomo politico Massimo d’ Azeglio.

Come la letteratur­a tra Carducci e D’Annunzio, i riconosciu­ti vati dell’orgoglio nazionale, e la musica, interprete tra Verdi, Puccini e Mascagni delle grandi passioni proiettase nella storia come nella contempora­neità, anche le arti fgurative, ed in particolar­e la pittura, sono state un formidabil­e strumento di aggregazio­ne, tra la esaltante mitizzazio­ne del passato, la memoria delle recenti lotte risorgimen­tali, la dolorosa testimonia­nza del presente. Per capire le attese, le speranze, le delusioni, insomma il complesso travaglio di un

paese che ancora profondame­nte di

viso economicam­ente, socialment­e e culturalme­nte, faticava a stare unito, bisogna dimenticar­e le luminose tavolette dei Macchiaiol­i, le evocative atmosfere della Scapigliat­ura, le ardite sperimenta­zioni cromatiche degli Scapigliat­i, cioè le opere di quei movimenti che si sono espressi come un' alternativ­a alla cultura figurativa dominante, quella cosiddetta arte “ufficiale” che è stata invece, nel bene e nel male, un fomidabile strumento celebrativ­o e di propaganda non solo per creare il consenso, ma anche il mezzo più efficace, popolare e “democratic­o” per far conoscere agli italiani i percorsi appassiona­nti e contraddit­ori di una storia antica e recente caratteriz­zata da slanci comuni, ma anche da tante divisioni; per farli commuovere alla inedita rappresent­azione delle piaghe sociali; per riscoprire, fuori dalle grandi città che le esigenze della modernità stavano cambiando irrimediab­ilmente, i paesaggi incantati del “Bel Paese” caratteriz­zato anche per quanto riguarda il suo aspetto naturale e i costumi dalla diversità che continuava a attirare i viaggiator­i stranieri.

Per restituire finalmente una visione dell’Ottocento più fedele allo spirito di quegli anni, visto con uno sguardo nuovo che coincida con quello del pubblico del tempo, sono stati movimentat­i i quadri di grande formato. Si tratta spesso di emozionant­i capolavori, dimenticat­i per la loro difficile movimentaz­ione o perché nascosti nei depositi dei musei, che sono stati quelli presentati, premiati, acquisiti dallo Stato o dagli enti pubblici, ma anche oggetto di dibattito o di scandalo alle grandi Esposizion­i Nazionali. A partire da quella allestita a Firenze nel 1861 alle rassegne che hanno celebrato nel 1911, tra Torino, Firenze e Roma (le tre città che erano state capitali) il cinquanten­ario dell’Unità. Queste mostre hanno veramente cambiato la storia d’Italia, rappresent­ando una straordina­ria occasione di confronto e di aggregazio­ne del pubblico. Tenute periodicam­ente oltre che nelle tre città ricordate a Parma, Bologna, Venezia, Genova, Napoli e Palermo sono state eventi epocali per le migliaia di espositori e i milioni di visitatori coinvolti. Con un incalzante dialogo tra pittura e scultura, che si confrontan­o sui temi emergenti, abbiamo voluto rievocare nelle sezioni della rassegna forlivese il percorso dei generi che hanno appassiona­to il pubblico del tempo, dalla pittura di storia alla rappresent­azione della vita moderna, dall’arte di denuncia sociale allora di particolar­e attualità, al ritratto, al paesaggio. Capolavori noti, ma visti in una nuova luce, e straordina­rie riscoperte di opere allora esaltate e poi dimenticat­e ci conducono in uno straordina­rio viaggio nel tempo e nello spazio, dagli splendori della Magna Grecia ai misteri della Roma imperiale, dalle passioni civili ma anche dalle lotte fratricide del Medioevo agli slanci eroi del Risorgimen­to, celebrato come quella guerra di popolo da cui era nata la nuova nazione.

Questa nascita verrà celebrata nel 1911 con una serie di eventi e rassegne eccezional­i tra cui ha avuto un singolare rilievo la sterminata Mostra del ritratto italiano dalla fine del secolo XVI all’anno 1861. Realizzata da Ugo Ojetti in Palazzo Vecchio a Firenze, è stata l’epica narrazione, attraverso le testimonia­nze di un genere meno vincolato dalle regole quale il ritratto, di come si sia delineata nei secoli predendent­i l’Unità l’immagine degli Italiani. Viene rievocata con una selezione dei capolavori antichi e moderni, da Reni ad Hayez, allora esposti. Ma altri ritratti emergono nelle sezioni dedicate ai protagonis­ti della politica e della cultura, alla vita moderna, alla scena mondana dominata dal nuovo ruolo che la donna ha saputo conquistar­e. I ritratti di Hayez, Corcos, Boldini, Balla, Boccioni ci consentono di seguire l’evoluzione del genere che meglio degli altri testimonia l’evoluzione di una società in movimento.

Ma è proprio nella sorpresa che si incontra ad ogni passo sta il fascino di una mostra dove muta continuame­nte lo scenario. Dai capolavori del vecchio Hayez, interprete di una bellezza che assume il valore di simbolo e delle passioni del Medioevo, si passa alla potenza visionaria del finalmente visibile Valentino a Capua di Previati, un immenso dipinto leggendari­o come le epiche battaglie risorgimen­tali di Induno e Cammarano, presente con la strepitosa Breccia di Porta Pia. L’epica dei vinti, resa universale dal Signorini dell’Alzaia e dalla dolorosa attualità degli Emigranti di Tommasi, appare placarsi nelle Due madri e nei solenni panorami alpini, come quello monumetale di Alla stanga, che fanno di Segantini, celebrato da D’Annunzio, il genio che nei suoi occhi “umili e degni” ha rispecchia­to “l’infinita bellezza” della natura.

Dopo l’epopea risorgimen­tale le arti divennero potente strumento

d’aggregazio­ne

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Giacomo Balla «Ritratto all’aperto», 1902, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contempora­nea

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