Magico Ulisse di legno firmato Kentridge
Un fantoccio di uomo, abbandonato su un carrello, forse un lettino d’ospedale, e quattro personaggi intorno che cercano di rianimarlo:
è questo l’inizio del Ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi nella lettura di William Kentridge, con le marionette della Handspring Puppet Company di Adrian Kohler. La produzione, griffata col nome dell’artista e tascabile, è partita dalla Monnaie di Bruxelles oltre vent’anni fa e ha circolato da Cape Town a Vienna, da New York a Parigi: ora è ospite del Massimo di Palermo (mentre orchestra e coro sono in tournée a Muscat) e in aprile si vedrà a Versailles.
Quel fantoccio è una marionetta, ossia una verità finta, che ribalta il poema omerico della finzione vera. È un Ulisse di legno, prototipo della fragilità umana, su cui tanto insiste il Prologo di Monteverdi, con versi (del meraviglioso Badoer) e morale dal tragico al comico. Da questa oasi astratta partono i due artisti sudafricani, Kentridge con i disegni a carboncino e Kohler con le vitalissime marionette, a grandezza umana, doppiate dai cantanti. Ulisse è un vecchio - come era il settantenne Monteverdi - che insegue fantasmi: la bella moglie Penelope, sola tra tanti uomini, il figlio Telemaco, in armatura da cavaliere, i tre Proci gaudenti, il fedele pastore Eumete.
Manca un buon terzo dell’opera originale, di cui vengono tagliate le parti buffe e le divine, l’alto e il basso. Dichiaratamente infedeli, Kentridge e le marionette mirano solo alla fascia centrale: Ulisse diventa una ballata su Penelope e i suoi no (un’ora e mezza, no stop) su sfondo di frammenti evocativi, tra l’ecografia di un feto o un cuore che esplode. Anche i sette strumentisti del Ricercar Consort, tutti corde, antiche, guidati da Philippe Pierlot alla viola da gamba, si allineano alla dimensione antiretorica, seduti a semicerchio, in una balconata lignea, e sembrano osservare una lezione di anatomia seicentesca. La scrittura di Monteverdi esce per contrasto ancor più emozionante. Esortativa, morbidamente modellata su un soffio di affetti. Perfetti sull’intenzione espressiva della parola Jeffrey Thompson, Ulisse, Margot Oitzinger, Penelope, Hanna Bayodi-Hirt, Minerva, Victor Sordo, Eumete, e Jean-François Novelli, che canta sia Telemaco sia nell’intonato trio dei pretendenti, con Anna Zander e Antonio Abete, unico madrelingua. Colpisce la sala piena, del Massimo, alla seconda recita, con applausi come a un titolo di repertorio. Il pubblico tiene il fiato alle prove del grande grande arco. Ma la vera magia di Ulisse non è piegare quello, bensì Penelope. E il miracolo è un’opera del 1640, grondante barocco, che finisce con una sillaba: sì.