Trap, pop, rock: Sanremo è un Mirò
Cantanti-fondale e finto ribelli, moralisti, avanguardie antiche e «quelli che si rimettono in gioco». Ma nel porto chiuso del festival della canzone italiana c’è anche qualcosa di nuovo e divertente
«No non è musica,èun Mirò». in epigrafe al 69° Festival dellaCanzone Italiana merita di rimanere questo fulminante verso del 28enne trapper romano (che ha rubato la scena come una motoretta a Vigne Nuove): Achille Lauro. Attenzione però: le 24 canzoni sfilate in gara nella Sanremo di Claudio Baglioni e associati formano un puzzle scomponibile in diversi quadretti, di varia surrealtà.
GLI ACCADEMICI. «Io che guardo sempre il cielo/ e sogno ancora di volare». L’ imprinting modug ne scodi Francesco Renga,pr imo artista sul palco alla prima serata, è rappresentativo di una categoria forte: quelli della Canzone d’Amore Italiana, altrimenti detta «Solita Solfa». È una squadra forte e nutrita, quasi verrebbe da dire - il fondale, o l’humus ben concimato, da cui spuntano i fio ridi Sanremo. Ne fanno parte giovani leve (Einar) e veterani pluriaffermati (Paola
Turci, Nek, con Loredana Bertè gigan
tessa di categoria, più per il carisma da
soul woman con cui interpreta un pezzo che fin dal titolo è ca te ring: C osati aspetti
dame ); e alleanze trans generazionali
(Patti Pravo& Briga, pure loro impegnati in un tentativo di volare, ma meno fortunati, Un po’ co mela vita ), o intergenerazionali( Il Volo, che con Musica che restasi esercitano accademicamente sul binomio amore/armonia e sulla rima pensieri/desideri). Menzione speciale
per Anna Tatangelo, dotata di gran fa
scino mediterraneo e di mezzi vocali, arrivata al Festival con Le nostre anime di
notte( verso l’ una nella serata d’ esordio ),
canzone sullaric ostruzione di una more, intrisa di risonanze personali; eppur eh ameno impatto emotivo di un buon pacchero. Alla fine, il guizzo di novità in questa categoria conservatrice è data dal duo Federica Carta-S ha de( prodotti di A micie diYouTube,r ispettiva mente ): Senza farlo apposta, la loro canzone, apporta al festival uno dei ganci più recidivi delri tornello contagioso :« e scusa ma/ non mene importa/ e sono qua/ un’ altra volta »... Il che vale per altri replicanti, anche nella
prossima categoria.
FAUVES E SCAPIGLIATI. Ci sono a ogni Festival: quelli de« lo spirito alternativo del vero rock/ del nuovo cantautorato»; o quelli che, bontà loro, «si rimettono in gioco». Avanguardie a volte fin troppo storiche. Come i Negrita che tornano a Sanremo dopo 16 anni con I ragazzi
stanno bene (titolo che ricalca The Kids arealrightdegli Who, pezzo del 1966; in
trofisch et tata che ricalcai Righe ira; liriche contro i giochi sporchi del« comandante» e una cauta, paternalisticaragazzi» e nella lo rose tedi libertà ). E il fenomeno indie chef a il debutto al festival? Se l’anno scorso c’erano gli estroversi bolognesi de Lo Stato Sociale,
con la Vita in vacanza (e la nonna che
danza), quest’anno l’umbratile Motta che nella canzone Dov’è l’Italia confessa:
«mi ci sono perso anch’io», facendolo rimare ad ogni buon conto con «amore mio». Il disorientamento che si può far derivare dall’ incerta fase sociopolitica di un Paese intero; o anche solo dalleMotta, crasi vivente tra Luigi Tenco eRic hard Ashcroft: unintrappolato nella verve di un eroe britpop. Gli eroi veri della Scapigliatura festivaliera sono però i formidabili Zen Circus dall’asse Pisa-Livorno: L’amore è una dittatura è un vero esercizio di scrittura rock in cui trovano spazio De Andrè e il linguaggio questurino, cani e ratti e zanzare, altri porti chiusi, una puntuale definizione del mestiere di cantante sanremese («perdere tempo con il cielo, farlo di lavoro») per poi finire sull’amore unica speranza. Non rimarrà in testa, ma attiva qualche sinapsi. Come i prossimi.
I REALISTI MAGICI. Quelli che «affrontano il difficile tema», portatori sani e/o contrabbandieri dell’impegno,grilli cantanti. Visti dalla capitaneria del porto chiuso di Sanremo servono a sparigliare, dare credibilità e spessore (mica solo canzoni d’amore). Ecco allora la banalità del micro/macrocosmo compresso dall’ineffabile e simpatico grizzly Simone Cristicchi in una cialda difi los oficoVolluto :« Anche in un granosi nasconde l’ universo/ perché la Natura è un li brodi parole misteriose ».
O Enrico Nigiotti, autore di grido, che nel compiangere il suo Nonno
Hollywood lo usa come cartina di tornasoledel disagio verso« un mondo a pile/ centri commerciali al posto del cortile» (cfr. «il buco nell’ozono fa rumore», Al Bano e Romina, edizione 1989). O ancorala tensione socio/ antropologi cadi Daniele Silvestri, 50enne alle prese con le generazioni otaku, ossia quelli che »il solo mondo che apprezzo è un mondo virtuale », evabbè( vincitore di categoria grazie all’endorsement via Twitter di monsignor Ravasi). I giovani d’oggi signora mia; ma le neo-generazioni col loro linguaggio frammentario, sconnesso, informe, sanno parla redi e perse stesse. Il che ci porta al sardo-egiziano Mahmood, e alla categoria ultima.
I NEO-IPER-SURREALISTI (OVVERO I CAPIGLIATI). Come trancio di vita vissuta, da pizzerie e periferie e parrucchieri egiziani, è potente e diretto Soldi di Mahmood, in quota voci di neo-Italiani; si fuma narghilè e «si beve champagne sotto Ramadan» e «penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai». Un po’ bruta lista, ma trale performance di buon impatto. Come altre di vari interpreti arrivati a Sanremo con coiffure a calotta: quasi un ordine monastico di artisti in bolla, una nuova Capigliatura contemporanea. Ultimo e Ghemon a parte, la sorpresa qui è Arisa, che con il suo team di autori e i propri notevoli mezzi vocali ha messo in piedi Mi sento bene, pezzone che solo a prima vista sembra uno status di Facebook ma poi si rivela - tra slanci alla «Dio è morto» dei Nomadi, un boom boom tipo Raffaella Carrà, e multipli cambi di ritmo e di registro - un mini-musical sulla depressione e sul suo decorso. E poi, sì, c’è Achille Lauro: se fa rimare «Doors» con «via del Corso», cita direttamente Paul Gascoigne e indirettamente la Vita Spericolata di Vasco, libera energia folle e sgomma allegro sullo scivoloso double entendre della sua Rolls Royce (status symbol o sostanza psicotropa? come già i Beatles di Lucy in the sky with diamonds) e si porta di slancio sul traguardo del GP di Sanremo, e rappresenta: trap per chi l’ha visto, rock per chi non c’era.