Il Sole 24 Ore

Trap, pop, rock: Sanremo è un Mirò

Cantanti-fondale e finto ribelli, moralisti, avanguardi­e antiche e «quelli che si rimettono in gioco». Ma nel porto chiuso del festival della canzone italiana c’è anche qualcosa di nuovo e divertente

- Pier Andrea Canei

«No non è musica,èun Mirò». in epigrafe al 69° Festival dellaCanzo­ne Italiana merita di rimanere questo fulminante verso del 28enne trapper romano (che ha rubato la scena come una motoretta a Vigne Nuove): Achille Lauro. Attenzione però: le 24 canzoni sfilate in gara nella Sanremo di Claudio Baglioni e associati formano un puzzle scomponibi­le in diversi quadretti, di varia surrealtà.

GLI ACCADEMICI. «Io che guardo sempre il cielo/ e sogno ancora di volare». L’ imprinting modug ne scodi Francesco Renga,pr imo artista sul palco alla prima serata, è rappresent­ativo di una categoria forte: quelli della Canzone d’Amore Italiana, altrimenti detta «Solita Solfa». È una squadra forte e nutrita, quasi verrebbe da dire - il fondale, o l’humus ben concimato, da cui spuntano i fio ridi Sanremo. Ne fanno parte giovani leve (Einar) e veterani pluriaffer­mati (Paola

Turci, Nek, con Loredana Bertè gigan

tessa di categoria, più per il carisma da

soul woman con cui interpreta un pezzo che fin dal titolo è ca te ring: C osati aspetti

dame ); e alleanze trans generazion­ali

(Patti Pravo& Briga, pure loro impegnati in un tentativo di volare, ma meno fortunati, Un po’ co mela vita ), o intergener­azionali( Il Volo, che con Musica che restasi esercitano accademica­mente sul binomio amore/armonia e sulla rima pensieri/desideri). Menzione speciale

per Anna Tatangelo, dotata di gran fa

scino mediterran­eo e di mezzi vocali, arrivata al Festival con Le nostre anime di

notte( verso l’ una nella serata d’ esordio ),

canzone sullaric ostruzione di una more, intrisa di risonanze personali; eppur eh ameno impatto emotivo di un buon pacchero. Alla fine, il guizzo di novità in questa categoria conservatr­ice è data dal duo Federica Carta-S ha de( prodotti di A micie diYouTube,r ispettiva mente ): Senza farlo apposta, la loro canzone, apporta al festival uno dei ganci più recidivi delri tornello contagioso :« e scusa ma/ non mene importa/ e sono qua/ un’ altra volta »... Il che vale per altri replicanti, anche nella

prossima categoria.

FAUVES E SCAPIGLIAT­I. Ci sono a ogni Festival: quelli de« lo spirito alternativ­o del vero rock/ del nuovo cantautora­to»; o quelli che, bontà loro, «si rimettono in gioco». Avanguardi­e a volte fin troppo storiche. Come i Negrita che tornano a Sanremo dopo 16 anni con I ragazzi

stanno bene (titolo che ricalca The Kids arealright­degli Who, pezzo del 1966; in

trofisch et tata che ricalcai Righe ira; liriche contro i giochi sporchi del« comandante» e una cauta, paternalis­ticaragazz­i» e nella lo rose tedi libertà ). E il fenomeno indie chef a il debutto al festival? Se l’anno scorso c’erano gli estroversi bolognesi de Lo Stato Sociale,

con la Vita in vacanza (e la nonna che

danza), quest’anno l’umbratile Motta che nella canzone Dov’è l’Italia confessa:

«mi ci sono perso anch’io», facendolo rimare ad ogni buon conto con «amore mio». Il disorienta­mento che si può far derivare dall’ incerta fase sociopolit­ica di un Paese intero; o anche solo dalleMotta, crasi vivente tra Luigi Tenco eRic hard Ashcroft: unintrappo­lato nella verve di un eroe britpop. Gli eroi veri della Scapigliat­ura festivalie­ra sono però i formidabil­i Zen Circus dall’asse Pisa-Livorno: L’amore è una dittatura è un vero esercizio di scrittura rock in cui trovano spazio De Andrè e il linguaggio questurino, cani e ratti e zanzare, altri porti chiusi, una puntuale definizion­e del mestiere di cantante sanremese («perdere tempo con il cielo, farlo di lavoro») per poi finire sull’amore unica speranza. Non rimarrà in testa, ma attiva qualche sinapsi. Come i prossimi.

I REALISTI MAGICI. Quelli che «affrontano il difficile tema», portatori sani e/o contrabban­dieri dell’impegno,grilli cantanti. Visti dalla capitaneri­a del porto chiuso di Sanremo servono a sparigliar­e, dare credibilit­à e spessore (mica solo canzoni d’amore). Ecco allora la banalità del micro/macrocosmo compresso dall’ineffabile e simpatico grizzly Simone Cristicchi in una cialda difi los oficoVollu­to :« Anche in un granosi nasconde l’ universo/ perché la Natura è un li brodi parole misteriose ».

O Enrico Nigiotti, autore di grido, che nel compianger­e il suo Nonno

Hollywood lo usa come cartina di tornasoled­el disagio verso« un mondo a pile/ centri commercial­i al posto del cortile» (cfr. «il buco nell’ozono fa rumore», Al Bano e Romina, edizione 1989). O ancorala tensione socio/ antropolog­i cadi Daniele Silvestri, 50enne alle prese con le generazion­i otaku, ossia quelli che »il solo mondo che apprezzo è un mondo virtuale », evabbè( vincitore di categoria grazie all’endorsemen­t via Twitter di monsignor Ravasi). I giovani d’oggi signora mia; ma le neo-generazion­i col loro linguaggio frammentar­io, sconnesso, informe, sanno parla redi e perse stesse. Il che ci porta al sardo-egiziano Mahmood, e alla categoria ultima.

I NEO-IPER-SURREALIST­I (OVVERO I CAPIGLIATI). Come trancio di vita vissuta, da pizzerie e periferie e parrucchie­ri egiziani, è potente e diretto Soldi di Mahmood, in quota voci di neo-Italiani; si fuma narghilè e «si beve champagne sotto Ramadan» e «penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai». Un po’ bruta lista, ma trale performanc­e di buon impatto. Come altre di vari interpreti arrivati a Sanremo con coiffure a calotta: quasi un ordine monastico di artisti in bolla, una nuova Capigliatu­ra contempora­nea. Ultimo e Ghemon a parte, la sorpresa qui è Arisa, che con il suo team di autori e i propri notevoli mezzi vocali ha messo in piedi Mi sento bene, pezzone che solo a prima vista sembra uno status di Facebook ma poi si rivela - tra slanci alla «Dio è morto» dei Nomadi, un boom boom tipo Raffaella Carrà, e multipli cambi di ritmo e di registro - un mini-musical sulla depression­e e sul suo decorso. E poi, sì, c’è Achille Lauro: se fa rimare «Doors» con «via del Corso», cita direttamen­te Paul Gascoigne e indirettam­ente la Vita Spericolat­a di Vasco, libera energia folle e sgomma allegro sullo scivoloso double entendre della sua Rolls Royce (status symbol o sostanza psicotropa? come già i Beatles di Lucy in the sky with diamonds) e si porta di slancio sul traguardo del GP di Sanremo, e rappresent­a: trap per chi l’ha visto, rock per chi non c’era.

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AGF Il caso Achille Lauro

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