TRASFERIMENTI, I DEPOSITI RIDUCONO IL REGISTRO
Nell’ambito del trasferimento di una azienda bancaria, i depositi della clientela, in quanto strumento essenziale per lo svolgimento dell’attività bancaria, sono in linea di principio passività inerenti al compendio aziendale e sono pertanto deducibili nella determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro. È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 888 depositata il 16 gennaio 2019.
Nel 2008 un soggetto bancario cede a un altro operatore del settore un ramo di azienda costituito da alcune filiali situate nel centronord Italia. L’agenzia delle Entrate rettifica il valore che le parti hanno attribuito al compendio aziendale ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale. Secondo l’Agenzia possono ridurre il valore del compendio le sole passività inerenti all’azienda. Nel caso di specie, viene disconosciuto l’importo dei depositi accesi dalla clientela presso le filiali (che contabilmente costituiscono passività, stante l’obbligo di restituzione in capo alla banca) per la parte eccedente la capienza del conto corrente interbancario aperto dalle filiali presso un altro istituto di credito, anch’esso incluso nel ramo trasferito.
In altri termini, l’importo eccedente tale attività viene ritenuto non inerente al ramo di azienda trasferito e costituirebbe di conseguenza un mero accollo di debito.
I giudici di primo grado e quelli di appello confermano la pretesa fiscale, ma la banca presenta ricorso per Cassazione e ottiene la censura della sentenza della Ctr per vizio di motivazione. I giudici, conformandosi a un orientamento ormai consolidato (tra le altre vengono citate le sentenze di Cassazione 10218/2016, 23234/2015, 2577/2011), precisano anzitutto che, affinché possa tenersi conto delle passività aziendali per la determinazione del valore del compendio trasferito ai fini dell’imposta di registro (articolo 51, comma 4, Dpr 131/1986), non è sufficiente che risultino dalle scritture contabili obbligatorie. È altresì necessario che le passività siano inerenti all’azienda ceduta.
Infatti, continuano i giudici, l’eventuale assunzione da parte del cessionario di posizioni debitorie estranee all’azienda trasferita configura un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accollo da parte del cessionario del debito facente capo al soggetto cedente, il che fa scattare l’ipotesi di tassazione “al lordo” prevista dall’articolo 43, comma 2, del Dpr 131/1986.
Fatta questa premessa, la Suprema corte sottolinea la rilevanza del deposito bancario quale operazione che costituisce la base dell’intera operatività di una azienda bancaria. La banca opera, infatti, con il denaro ricevuto in deposito dalla clientela, che viene in seguito impiegato sia per l’attività di erogazione del credito sia per l’effettuazione di investimenti potenzialmente profittevoli.
Su queste basi, concludono i giudici, i depositi della clientela costituiscono elementi funzionalmente correlati allo svolgimento dell’attività di intermediazione bancaria e, come tali, sono in linea di principio inerenti al compendio aziendale e non configurabili come un accollo di debito in sede di trasferimento dello stesso.