Se il cliente è un super sportivo
Ritrovarsi ricco, anzi ricchissimo, a soli 20 anni ma con una prospettiva di guadagni che, arrivati ai 30, cambia radicalmente. Non è detto che debba trattarsi del super calciatore argentino Lionel Messi, secondo al mondo per ricchezza tra gli sportivi nella classifica di Forbes, grazie a stipendio, bonus annuali e sponsorizzazioni che arrivano a toccare i 111 milioni di dollari. Né che si parli di Roger Federer, l’immortale campione svizzero di tennis, settimo al mondo, sempre secondo la medesima classifica, grazie ai suoi 77 milioni e rotti di reddito annuo.
Il caso citato può fare riferimento anche a uno sportivo che ha redditi più bassi. E non c’è caso migliore di quello dell’atleta professionista che meglio si adatti a una esigenza troppo spesso trascurata: fare ricorso il prima possibile ad una pianificazione patrimoniale e fiscale. Infatti, spesso, chi ha carriere brevi con picchi improvvisi può trovarsi più di altri a vivere di stenti negli anni successivi, quando la gloriosa carriera si è spenta.
«L’educazione alla pianificazione è fondamentale fin dai primi anni perché proprio in soggetti con alcune caratteristiche, come i giovani campioni, è indispensabile avere vicino persone di fiducia e con competenze specifiche per non commettere errori o fare passi falsi spiega Luca Ferrari, partner dello studio Withers e responsabile globale dipartimento Sport -. Gli advisor devono essere persone che non hanno conflitti di interesse, in particolare con l’agente o la società per la quale il professionista opera».
La pianificazione nel lungo periodo è doverosa per stimare le ingenti risorse dei primi e pochi anni di vita professionale e far sì che durino per un lungo periodo e che le spese siano sostenibili nel tempo.
«Il problema dei grandi atleti sta nel fatto che sono fortemente concentrati nel loro principale obiettivo, che è vincere e progredire sportivamente - aggiunge Ferrari - perché anche pochi decimi di secondo o centimetri possono fare la differenza in una carriera. Ma la famiglia e gli amici, che sembrano una salvezza, diventano una minaccia quando non hanno le giuste competenze».
Anche in questo caso, una delle soluzioni migliori che si possono adottare per tutelare i patrimoni dell’atleta è il trust, con il quale viene segregata una parte del patrimonio. Qui il trust funziona sia come protezione da un’aggressione del patrimonio (evitare che si facciano scelte non consapevoli con possibili perdite), sia da rovesci personali come ad esempio un’unione con un compagno o compagna non sempre dall’esito felice.
«Oltre che con il trust, che è uno strumento molto flessibile, l’atleta viene tutelato con patti prenuziali e post nuziali - dettaglia ancora Ferrari -. Bisogna poi considerare che il trust ha anche una funzione psicologica importante, che aiuta il soggetto a dire no a un amico o a un’altra persona vicina in cerca di fondi. E poi attraverso una struttura intermedia, che ha potere decisionale autonomo, si educa i soggetti a inserire redditi e beni che potranno crescere un domani come serbatoio per se stessi e per i propri figli».
Il trust ha una durata che viene stabilita volta per volta; di solito copre una o due generazioni ma negli Usa alcuni trust arrivano anche alla quarta o quinta generazione.
Questo strumento può disporre secondo le regole definite di apportare benefici allo sportivo (come vendere una casa, affittarla, finanziare la formazione e l’educazione dei figli).
Non in tutti i Paesi il trust viene riconosciuto giuridicamente. Per esempio non lo è nella giurisdizione di Spagna, Germania, Francia. «Per questa ragione in questi Paesi dove comunque la presenza degli sportivi è molto elevata, facciamo ricorso ad altre soluzioni - conclude Ferrari - come le quotazioni e le polizze Vita che consentono comunque di pianificare il patrimonio».