Imprese: «Problema politico», ma la questione resta aperta
I sostenitori della Tav rimproverano l’approccio ideologico dello studio
Visto da Torino il risultato negativo della costi benefici brucia più che altrove, eppure l’esito – atteso – dell’esame sul dossier Alta velocità ha finito per attutire l’amarezza. Radicando però la convinzione che la questione in realtà resti aperta dal punto di vista politico. Parla di numeri «risultato di un lancio di dadi» Corrado Alberto presidente dell’Api, tra gli animatori, insieme agli industriali, le categorie produttive e una fetta del mondo sindacale delle iniziative a sostegno della Torino-Lione nei mesi scorsi. I sostenitori della Tav rimproverano l’aproccio ideologico dello studio e mettono in fila i punti deboli dell’Analisi: costi di investimento gonfiati, volumi di traffico dimezzati, benefici ambientali minimi.
Resta però il punto politico. Pesante ancora più di prima visto che ora le carte sono scoperte. Tanto che la stessa sindaca 5Stelle di Torino Chiara Appendino sottolinea che «l’analisi conferma i dubbi sull’utilità dell’opera, ma la scelta spetta al Governo». E a caldo il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino sottolinea: «Si delinea uno scenario che rischia di penalizzare pesantemente l’economia, lo sviluppo e la condizione ambientale delle nostre regioni. Ora il governo si assuma la responsabilità di decidere». All’Esecutivo guarda anche il presidente di Confindustria Piemonte, Fa- bio Ravanelli, quando sottolinea che le conclusioni della Costi-benefici «pongono ora al Governo un enorme problema politico rispetto alla volontà già espressa da Francia e Unione europea di procedere al completamento dell’opera e alle istanze che arrivano da un territorio ampio, che va oltre il solo Piemonte». Dario Gallina, a capo degli industriali di Torino insiste su un punto: «Investire in un’opera che all’Italia costa circa 300 milioni all’anno e che avrebbe una rilevanza secolare è sacrosanto per un paese manifatturiere». Se la politica non risolverà il problema, aggiunge, «andremo verso una nuova mobilitazione del mondo produttivo». La partita della Torino-Lione ha chiamato in campo i governatori e gli industriali delle regioni lungo l’asse padano, dalla Liguria al Veneto, anche a seguito delle iniziative di Confindustria che a Torino ha riunito le sue territoriali per fare quadrato intorno alle Grandi opere. Ma a considerare la Tav una questione chiave per il territorio non è soltanto il sistema di rappresentanza di mondo produttivo e buona parte del sindacato, ma anche i singoli imprenditori, che non mollano la presa. «Ho bloccato tutti gli investimenti in casa nostra, non mi fido di una politica che annulla impegni presi con Francia e Europa» dice amareggiato Livio Ambrogio, a capo della Ambrogio Trasporti, azienda da 75 milioni di fatturato che si occupa di trasporto intermodale in mezza Europa. Sfoglia il dossier Gianfranco Carbonato, a capo di Prima Industrie, azienda del comparto meccatronica specializzata nella produzione di laser, e commenta: «Meno male che a prendere le decisioni nel mondo reale non sono i tecnici ma gli imprenditori, se si tratta di soldi privati, o i politici, se si tratta di risorse pubbliche». Se prima di fare l’alta velocità Milano-Roma, aggiunge, «avessimo conteggiato le perdite in pedaggi e accise, forse avremmo messo da parte anche quel progetto». Fa appello al Colle Giorgio Marsiaj, fondatore della Sabelt: «Il parlamento ha ratificato un accordo internazionale firmato dal presidente della Repubblica, allora i parlamentari e i senatori piemontesi facciano appello al Capo dello Stato per chiedere il rispetto delle leggi». L’Italia ha bisogno di investimenti, insiste Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria e imprenditrice torinese nel settore orafo: «Senza connessioni veloci con l’Europa – aggiunge – rischiamo di relegarci ad un futuro isolato».