Mossa obbligata dopo i continui stop
Anche la circolare della GdF aveva escluso l’applicabilità dell’estensione dei tempi
L’agenzia delle Entrate abbandona le contestazioni in materia di Irap se accertate oltre l’ordinaria di decadenza in quanto non trova applicazione il raddoppio dei termini in presenza di reato tributario. Si conclude cosi una diatriba di vari anni tra contribuenti e Agenzia che ha finalmente preso atto di aver sostenuto in tutto questo tempo un’interpretazione errata come segnalato su queste pagine (si veda da ultimo Il Sole del 19 novembre 2018).
I termini della vicenda
In materia di Irap, per le attività di accertamento si fa rinvio alle disposizioni sulle imposte sui redditi (articolo 43 Dpr 600/1973). Questa norma, nel disciplinare la decadenza del po- tere di accertamento prevedeva, fino al periodo di imposta 2015, che in presenza di violazione con obbligo di denuncia per uno dei reati tributari (Dlgs 74/2000), i termini di rettifica fossero raddoppiati.
Tuttavia i reati tributari riguardano solo illeciti alle imposte sui redditi e all’Iva, con la conseguenza che appariva dubbia l’estensione anche all’Irap dei maggiori tempi di accertamento.
Da anni, la Suprema corte l’aveva perentoriamente escluso: secondo i giudici di legittimità, infatti, il maggior termine per l’accertamento doveva avere come necessario presupposto la commissione di un reato, mai configurabile nel caso dell’Irap. Peraltro nella sentenza 1425/2018, la Cassazione aveva anche rilevato che, una diversa interpretazione, risultando estensiva, avrebbe comportato una violazione del divieto di analogia in materia penale (articolo 25, comma 2, della Costituzione).
La posizione della GdF
La Guardia di Finanza già nella circo- lare 1/2018 aveva escluso il raddoppio dei termini per le violazioni Irap. Tuttavia né questa posizione, né il granitico orientamento della Cassazione erano stati sufficienti a modificare l’interpretazione dell’Agenzia, determinando la singolare situazione che la GdF nel pvc non rilevava la violazione Irap per gli anni decaduti, mentre in sede di accertamento l’Ufficio evidenziava la rettifica.
Il passo indietro
Ora finalmente la decisione a livello centrale da salutare con favore di abbondonare le contestazioni ed i contenziosi in corso ma che, inevitabilmente, avrà conseguenze nei rapporti con i contribuenti.
Innanzitutto vi è un problema di credibilità degli uffici che operano sul territorio: si è verificato che il medesimo ufficio provinciale prima ha negato l’annullamento del rilievo e poi dopo pochi mesi, con motivazioni opposte rispetto a quelle precedenti, ha annullato la contestazione.
Nonostante la Cassazione fosse da anni totalmente contraria all’inter- pretazione dell’Agenzia, i contribuenti sono stati costretti a impugnare l’atto pagando contributo unificato e spese di assistenza, ora occorrerà verificare se e come si potranno recuperare tali somme (danni): insistere nella condanna alle spese dell’ufficio in giudizio o, in difetto, intraprendere un’azione risarcitoria nei confronti di coloro che nonostante l’invito espresso ad annullare la rettifica illegittima, non abbiano al tempo provveduto. In entrambe le ipotesi l’esito favorevole è tutt’altro che scontato.
Vi sono poi contribuenti che hanno già aderito alla definizione dell’accertamento (pace fiscale) corrispondendo le maggiori imposte pretese per intero (comprensive dell’Irap) che si potevano evitare se l’annullamento fosse arrivato per tempo. Aldilà anche delle eventuali condanne alle spese in capo agli uffici per questi contenziosi, che rappresentano un costo per l’Erario, vi è da sperare che la vicenda serva per il futuro all’Agenzia affinché eviti talvolta atteggiamenti di così ingiustificata chiusura.