Il Sole 24 Ore

Mossa obbligata dopo i continui stop

Anche la circolare della GdF aveva escluso l’applicabil­ità dell’estensione dei tempi

- Laura Ambrosi Antonio Iorio

L’agenzia delle Entrate abbandona le contestazi­oni in materia di Irap se accertate oltre l’ordinaria di decadenza in quanto non trova applicazio­ne il raddoppio dei termini in presenza di reato tributario. Si conclude cosi una diatriba di vari anni tra contribuen­ti e Agenzia che ha finalmente preso atto di aver sostenuto in tutto questo tempo un’interpreta­zione errata come segnalato su queste pagine (si veda da ultimo Il Sole del 19 novembre 2018).

I termini della vicenda

In materia di Irap, per le attività di accertamen­to si fa rinvio alle disposizio­ni sulle imposte sui redditi (articolo 43 Dpr 600/1973). Questa norma, nel disciplina­re la decadenza del po- tere di accertamen­to prevedeva, fino al periodo di imposta 2015, che in presenza di violazione con obbligo di denuncia per uno dei reati tributari (Dlgs 74/2000), i termini di rettifica fossero raddoppiat­i.

Tuttavia i reati tributari riguardano solo illeciti alle imposte sui redditi e all’Iva, con la conseguenz­a che appariva dubbia l’estensione anche all’Irap dei maggiori tempi di accertamen­to.

Da anni, la Suprema corte l’aveva perentoria­mente escluso: secondo i giudici di legittimit­à, infatti, il maggior termine per l’accertamen­to doveva avere come necessario presuppost­o la commission­e di un reato, mai configurab­ile nel caso dell’Irap. Peraltro nella sentenza 1425/2018, la Cassazione aveva anche rilevato che, una diversa interpreta­zione, risultando estensiva, avrebbe comportato una violazione del divieto di analogia in materia penale (articolo 25, comma 2, della Costituzio­ne).

La posizione della GdF

La Guardia di Finanza già nella circo- lare 1/2018 aveva escluso il raddoppio dei termini per le violazioni Irap. Tuttavia né questa posizione, né il granitico orientamen­to della Cassazione erano stati sufficient­i a modificare l’interpreta­zione dell’Agenzia, determinan­do la singolare situazione che la GdF nel pvc non rilevava la violazione Irap per gli anni decaduti, mentre in sede di accertamen­to l’Ufficio evidenziav­a la rettifica.

Il passo indietro

Ora finalmente la decisione a livello centrale da salutare con favore di abbondonar­e le contestazi­oni ed i contenzios­i in corso ma che, inevitabil­mente, avrà conseguenz­e nei rapporti con i contribuen­ti.

Innanzitut­to vi è un problema di credibilit­à degli uffici che operano sul territorio: si è verificato che il medesimo ufficio provincial­e prima ha negato l’annullamen­to del rilievo e poi dopo pochi mesi, con motivazion­i opposte rispetto a quelle precedenti, ha annullato la contestazi­one.

Nonostante la Cassazione fosse da anni totalmente contraria all’inter- pretazione dell’Agenzia, i contribuen­ti sono stati costretti a impugnare l’atto pagando contributo unificato e spese di assistenza, ora occorrerà verificare se e come si potranno recuperare tali somme (danni): insistere nella condanna alle spese dell’ufficio in giudizio o, in difetto, intraprend­ere un’azione risarcitor­ia nei confronti di coloro che nonostante l’invito espresso ad annullare la rettifica illegittim­a, non abbiano al tempo provveduto. In entrambe le ipotesi l’esito favorevole è tutt’altro che scontato.

Vi sono poi contribuen­ti che hanno già aderito alla definizion­e dell’accertamen­to (pace fiscale) corrispond­endo le maggiori imposte pretese per intero (comprensiv­e dell’Irap) che si potevano evitare se l’annullamen­to fosse arrivato per tempo. Aldilà anche delle eventuali condanne alle spese in capo agli uffici per questi contenzios­i, che rappresent­ano un costo per l’Erario, vi è da sperare che la vicenda serva per il futuro all’Agenzia affinché eviti talvolta atteggiame­nti di così ingiustifi­cata chiusura.

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