Riconosciuta a Milano la class action americana
Negata per la prima volta la contrarietà all’ordine pubblico
La questione del riconoscimento in Italia delle decisioni d’oltreoceano che definiscono un’azione di classe non è nuova. Sebbene la tutela collettiva sia stata da tempo introdotta nel nostro ordinamento, gli studiosi municipali dubitano che il sistema di optout, cioè il meccanismo americano di aggregazione delle pretese dei componenti la classe, sia compatibile con i principi italiani e segnatamente con la protezione accordata dalla carta costituzionale al contraddittorio e al di- ritto di azione e di difesa.
In altre parole, considerato che – negli Stati Uniti - la sentenza o la transazione che definiscono la class action vincolano tutti indistintamente i membri della classe, salvo quelli che si sono espressamente autoesclusi, e considerato altresì che – di regola – i singoli componenti della classe non sono notiziati individualmente circa la pendenza dell’azione e di detta facoltà (adottandosi generalmente comunicazioni di massa, dai quotidiani ai siti internet), è ben possibile, se non comune, che il giudizio si concluda, e la sentenza o la transazione divengano vincolanti, senza che il singolo membro della classe abbia potuto far valere le proprie pretese nel rispetto del contraddittorio individuale.
Per tale ragione, dunque, si ritiene tradizionalmente che il riconoscimento della sentenza, o del provvedi- mento che autorizza la transazione, che definiscono un’azione di classe negli Stati Uniti produrrebbero in Italia effetti contrari all'ordine pubblico processuale in quanto non rispettosi delle fondamentali garanzie che costituiscono i requisiti minimi caratterizzanti i procedimenti giudiziali.
Con la recente sentenza n. 10773 del 2018, il tribunale di Milano arriva a conclusioni opposte, riconoscendo un provvedimento che conclude una class action americana e per l’effetto precludendo all’attore – che non si era autoescluso dal giudizio americano – di ottenere il medesimo risarcimento del danno oggetto di transazione autorizzata dal giudice d’oltreoceano.
La pronuncia prende le mosse dall’insegnamento della Corte di Giustizia, fatto proprio dalla nostra Corte di Cassazione, secondo il quale le garanzie processuali fondamentali, tra cui il rispetto del diritto di difesa, non costituiscono prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni (che ovviamente non ne comportino una violazione manifesta e smisurata).
In applicazione di questo orientamento, sinora adottato solo in giudizi individuali, il Tribunale osserva che, alla luce del concreto svolgimento del procedimento americano (ove era stato disposto, oltre alla pubblicazione della proposta di transazione su agenzie di stampa e quotidiani di vari paesi, il suo «invio a mezzo posta a circa 80.000 soggetti domiciliati in 120 paesi nel mondo», tra cui l'attore), le garanzie processuali fondamentali del nostro ordinamento sono salvaguardate.
Orbene, sebbene la decisione del Tribunale di Milano sia stata “agevolata” dalla constatazione che il convenuto era stato individualmente notiziato della transazione e della possibilità di autoscludersi, risultano evidenti i profili di originalità. Infatti, viene esteso all’azione di classe ciò che era confinato a contenziosi individuali. In altri termini, considerato che la relatività del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio è stata sinora affermata solo in relazione a casi caratterizzati da inerzia, disattenzione o inosservanze processuali di un singolo, il quale ragionevolmente poteva attendersi la conseguente (quasi sanzionatoria) compressione di questi diritti, costituisce senz’altro una evoluzione interpretativa la sua esportazione in un ambito, quale quello delle class action, dove la compressione è naturale e coinvolge tutti indistintamente i membri delle classe che non si sono autoesclusi.