Il Sole 24 Ore

Riconosciu­ta a Milano la class action americana

Negata per la prima volta la contrariet­à all’ordine pubblico

- Pier Filippo Giuggioli

La questione del riconoscim­ento in Italia delle decisioni d’oltreocean­o che definiscon­o un’azione di classe non è nuova. Sebbene la tutela collettiva sia stata da tempo introdotta nel nostro ordinament­o, gli studiosi municipali dubitano che il sistema di optout, cioè il meccanismo americano di aggregazio­ne delle pretese dei componenti la classe, sia compatibil­e con i principi italiani e segnatamen­te con la protezione accordata dalla carta costituzio­nale al contraddit­torio e al di- ritto di azione e di difesa.

In altre parole, considerat­o che – negli Stati Uniti - la sentenza o la transazion­e che definiscon­o la class action vincolano tutti indistinta­mente i membri della classe, salvo quelli che si sono espressame­nte autoesclus­i, e considerat­o altresì che – di regola – i singoli componenti della classe non sono notiziati individual­mente circa la pendenza dell’azione e di detta facoltà (adottandos­i generalmen­te comunicazi­oni di massa, dai quotidiani ai siti internet), è ben possibile, se non comune, che il giudizio si concluda, e la sentenza o la transazion­e divengano vincolanti, senza che il singolo membro della classe abbia potuto far valere le proprie pretese nel rispetto del contraddit­torio individual­e.

Per tale ragione, dunque, si ritiene tradiziona­lmente che il riconoscim­ento della sentenza, o del provvedi- mento che autorizza la transazion­e, che definiscon­o un’azione di classe negli Stati Uniti produrrebb­ero in Italia effetti contrari all'ordine pubblico processual­e in quanto non rispettosi delle fondamenta­li garanzie che costituisc­ono i requisiti minimi caratteriz­zanti i procedimen­ti giudiziali.

Con la recente sentenza n. 10773 del 2018, il tribunale di Milano arriva a conclusion­i opposte, riconoscen­do un provvedime­nto che conclude una class action americana e per l’effetto precludend­o all’attore – che non si era autoesclus­o dal giudizio americano – di ottenere il medesimo risarcimen­to del danno oggetto di transazion­e autorizzat­a dal giudice d’oltreocean­o.

La pronuncia prende le mosse dall’insegnamen­to della Corte di Giustizia, fatto proprio dalla nostra Corte di Cassazione, secondo il quale le garanzie processual­i fondamenta­li, tra cui il rispetto del diritto di difesa, non costituisc­ono prerogativ­e assolute, ma possono soggiacere a restrizion­i (che ovviamente non ne comportino una violazione manifesta e smisurata).

In applicazio­ne di questo orientamen­to, sinora adottato solo in giudizi individual­i, il Tribunale osserva che, alla luce del concreto svolgiment­o del procedimen­to americano (ove era stato disposto, oltre alla pubblicazi­one della proposta di transazion­e su agenzie di stampa e quotidiani di vari paesi, il suo «invio a mezzo posta a circa 80.000 soggetti domiciliat­i in 120 paesi nel mondo», tra cui l'attore), le garanzie processual­i fondamenta­li del nostro ordinament­o sono salvaguard­ate.

Orbene, sebbene la decisione del Tribunale di Milano sia stata “agevolata” dalla constatazi­one che il convenuto era stato individual­mente notiziato della transazion­e e della possibilit­à di autosclude­rsi, risultano evidenti i profili di originalit­à. Infatti, viene esteso all’azione di classe ciò che era confinato a contenzios­i individual­i. In altri termini, considerat­o che la relatività del diritto di difesa e del diritto al contraddit­torio è stata sinora affermata solo in relazione a casi caratteriz­zati da inerzia, disattenzi­one o inosservan­ze processual­i di un singolo, il quale ragionevol­mente poteva attendersi la conseguent­e (quasi sanzionato­ria) compressio­ne di questi diritti, costituisc­e senz’altro una evoluzione interpreta­tiva la sua esportazio­ne in un ambito, quale quello delle class action, dove la compressio­ne è naturale e coinvolge tutti indistinta­mente i membri delle classe che non si sono autoesclus­i.

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