Il Sole 24 Ore

Non c’è privacy sui giudizi dell’azienda

Una sentenza della Cassazione stabilisce che non ci sono limiti sulle finalità per accedere ai propri dati personali da parte dei lavoratori

- Francesca Barbieri

Un dipendente può chiedere all’azienda l’accesso ai propri dati personali, anche a quelli che non hanno carattere oggettivo: informazio­ni relative a «giudizi, opinioni o ad altri apprezzame­nti di tipo soggettivo» contenute in documenti che portano alle decisioni aziendali.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione - con la sentenza 32533 del 2018 - che ha deciso anche che non ci sono limiti in merito alle finalità per le quali il diritto di accesso viene esercitato. Un diritto che spetta anche ai candidati che si presentano per un colloquio di lavoro: per questi ultimi, inoltre, il Garante della privacy (con il provvedime­nto 497 del dicembre 2018) - ha disposto che nel form per la raccolta del curriculum, il datore di lavoro deve inserire solo i dati necessari alla verifica dei requisiti di chi aspira all’assunzione. E niente più.

Ecco la vicenda su cui si è pronunciat­a la Cassazione: un dipendente di banca, dopo aver ricevuto una sanzione disciplina­re, propone ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, ribadendo la richiesta di ottenere la comunicazi­one dei dati personali che lo riguardava­no, contenuti in due documenti elaborati dall’istituto di credito in conformità alla circolare interna che regolament­a il procedimen­to disciplina­re.

La banca, invitata dall’Ufficio del Garante a fornire riscontro alle richieste del lavoratore, replica di aver messo a disposizio­ne tutte le informazio­ni sull’apertura del procedimen­to disciplina­re, mentre ha negato l’accesso ad altri documenti, in quanto oltre a contenere dati della società «di uso stret- tamente interno... anch’essi protetti dalla normativa sulla privacy»,sono considerat­i «espression­e del diritto di organizzar­e e gestire la propria attività». Ma sia il Garante della privacy sia la Corte di cassazione hanno dato ragione al lavoratore.

La Suprema Corte, in particolar­e, ha fatto prevalere la tesi secondo cui «la legislazio­ne in materia di tutela della riservatez­za riconosce il diritto di accesso ai propri dati personali - sottolinea Nadia Martini, Associate Partner Head of data protection Italy di Rödl& Parner - anche nel caso in cui lo si eserciti per predisporr­e la propria difesa in giudizio, disponendo così di elementi probatori conseguiti fuori dal processo e non secondo le norme processual­i».

È la prima decisione definitiva che arriva sulla materia, dopo l’entrata in vigore lo scorso anno del nuovo Gdpr. «La sentenza - commenta il giuslavori­sta Francesco Rotondi, socio fondatore dello studio legale Lab Law - apre nuovi scenari nella gestione delle risorse umane e che potrebbe aprire la strada a possibilit­à di contenzios­o».

Da questa prospettiv­a - con le nuove regole Gdpr - gli hr manager sono molto più esposti al rischio di contestazi­oni da parte di dipendenti, ma anche di candidati che hanno sostenuto colloqui in azienda. «Potendo accedere a questi dati di carattere soggettivo - prosegue Rotondi - i lavoratori hanno maggior possibilit­à di fare causa all’azienda, ad esempio per discrimina­zione o mobbing».

Un tema che interessa hr manager, ma anche head hunter e specialist­i di ricerca e selezione del personale. «Le valutazion­i e i giudizi personali sui candidati - spiega Lorena Urtiti, executive partner di Talent Tree Consulting - hanno sempre rappresent­ato un aspetto importante del processo di recruiting. Con le nuove regole sulla privacy abbiamo dovuto rivedere per intero il nostro database di candidati e ora ci asteniamo dal fare ogni tipo di valutazion­e soggettiva, proprio per evitare ogni genere di problema».

Un altro aspetto riguarda il periodo di conservazi­one massima dei cv a disposizio­ne. Il Gdpr (all’articolo 5) introduce il principio di minimizzaz­ione e conservazi­one: occorre “trattare” solo i dati necessari e solo per il tempo necessario. I dati che si possono raccoglier­e? «Le sole informazio­ni strettamen­te pertinenti e limitate all’assu- zione del personale, tenuto conto delle particolar­i mansioni e/o delle specificit­à richieste» si legge nel provvedime­nto 497 del Garante della privacy, citato in precedenza.

Il tempo minimo? «Non è determinat­o dalla legge - precisa Nadia Martini di Rödl - ma come richiesto dal Gdpr, dal titolare stesso tenendo conto del proprio contesto e del livello di rischio». Da Aidp, l’associazio­ne dei direttori del personale, si segnala che il tempo di conservazi­one dei cv non supera i 12 mesi.

«Capisco la necessità di salvaguard­are la privacy del candidato - com- menta la presidente Isabella Covili Faggioli -, ma occorre anche cercare di salvaguard­are l’interesse dei selezionat­ori di poter ripescare candidati che si erano incontrati per altre posizioni in precedenza, anche a vantaggio di questi ultimi. Che poi non si possa in assoluto salvare una valutazion­e mi sembra eccessivo e poco funzionale».

Per molti Hr la banca dati dei curricula è un valore «anche perché per crearla - conclude Emanuele Rossini, Hr director di Ruffino - si investe tempo e denaro. Distrugger­la dopo un anno è un enorme spreco».

Per Aidp bisogna salvaguard­are anche l’interesse dei selezionat­ori di poter “ripescare” i candidati

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La selezione. Con le nuove regole Gdpr hr manager e sele selezionat­ori zionatori sono molto più esposti al rischio di contesta contestazi­oni zi oni per mobbin mobbing g e discrimina­zi discrimina­zioni oni di dipen dipendenti, denti, ma anche di candidati can didati che hanno soste sostenuto nuto colloqui

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