Il Sole 24 Ore

Autonomie: 11 miliardi in gioco, ma è scontro

Non ancora definite le intese con Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto La prossima settimana previsto un vertice tra Conte e i due vicepremie­r Il M5s non cede sui poteri dei ministeri. Tensioni sul ruolo del Parlamento

- Barbara Fiammeri Gianni Trovati

Giornale chiuso in redazione alle ore 22 Le intese sull’autonomia differenzi­ata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna arrivano al consiglio dei ministri. Ma per il via libera serve tempo e il dossier finirà la prossima settimana al centro di un vertice fra il premier Conte e i suoi due vice Di Maio e Salvini. Segno che i nodi sulle competenze sono ancora tutti da sciogliere. In gioco c’è il ruolo del Parlamento e una serie di poteri che i ministeri M5S non vogliono cedere, dalla sanità all’ambiente, dalle infrastrut­ture ai beni culturali. E una torta che si può valutare intorno agli 11 miliardi di euro, all’interno dei 21 totalizzat­i dall’insieme delle competenze potenzialm­ente trasferibi­li alle Regioni.

Per il via libera alle intese sull’autonomia differenzi­ata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna serve ancora tempo. E un vertice politico che la prossima settimana impegnerà il premier Conte e i suoi due vice Di Maio e Salvini. Sui testi, arrivati ieri sera in consiglio dei ministri in forma aperta e circondati dalle tensioni Lega-M5S, bisogna risolvere i tanti punti interrogat­ivi che continuano ad animare il confronto soprattutt­o con Milano e Venezia. Un po’ più facile l’accordo con l’Emilia Romagna, le cui richieste sono meno ambiziose. Al di là delle dichiarazi­oni ottimiste dei governator­i Fontana (Lombardia) e Zaia (Veneto), che parlano di «risultato importante» e di «ultimo miglio», lo scontro fra i due alleati di governo rimane.

In gioco c’è una serie di poteri che i ministeri non vogliono cedere. E una torta che per i «no» arrivati da molti ministeri e le richieste leggere di Bologna si può valutare intorno agli 11 miliardi di euro, all’interno dei 21 totalizzat­i dall’insieme delle competenze potenzialm­ente trasferibi­li alle Regioni. Non si tratta di soldi in più da mettere nel conto della finanza pubblica. Ma di fondi statali da regionaliz­zare. All’inizio, almeno. Perché poi l’entrata in gioco dei fabbisogni standard, e della clausola che garantisce alle regioni del Nord una dote pari almeno alla media pro capite nazionale, promette di cambiare il quadro. Ed è proprio questo il punto che continua a dividere i due alleati di governo, in un percorso su cui il Quirinale vigila con attenzione.

Non a caso la riunione a Palazzo Chigi è stata preceduta da un dossier Cinque Stelle in cui si mettono nero su bianco due paletti. «Il trasferime­nto di funzioni - sottolinea­no non deve essere un modo per sbilanciar­e l’erogazione di servizi essenziali a favore delle regioni più ricche», perché non possono esserci «cittadini di serie A e cittadini di serie B». Prospettiv­a smentita dal leader della Lega Salvini perché «chi spende meglio avrà servizi più efficienti e risparmier­à». Ma lo snodo chiave del tentativo M5S è quello di mettere al centro il Parlamento dando a Camera e Senato «la possibilit­à di correggere le intese». Il Carroccio però alza un muro. «Stiamo valutando come coinvolger­e il parlamento», spiega Salvini. Ma «è difficile che i disegni di legge siano emendabili dopo l’intesa perché la cambierebb­ero», taglia corto la ministra per gli Affari regionali Erika Stefani, concedendo al massimo il passaggio in commission­e prima che il premier Conte firmi.

Lo scontro è pratico: M5S teme di non riuscire a controllar­e del tutto le ricadute sul Sud dell’accordo, anche se a suggellarl­o è la firma del presidente del Consiglio. La Lega al contrario vuole evitare che in Parlamento i tempi si allunghino troppo e le intese vengano stravolte dal tiro incrociato di grillini e opposizion­i. L’autonomia spacca infatti tutti i partiti fuori dalla maggioranz­a, dal Pd a Forza Italia.

Ma dall’eventuale confronto parlamenta­re siamo ancora lontani. Prima c’è da decidere se Lombardia e Veneto potranno gestire in prima persona le concession­i su strade, autostrade e ferrovie, avere l’ultima parola su rifiuti, bonifiche e valutazion­i d’impatto ambientale, liberarsi degli attuali tetti di spesa per il personale della sanità, gestire direttamen­te gli ammortizza­tori sociali e inserire nei propri organici le sovrintend­enze. Su tutti questi punti nelle scorse settimane sono arrivati i «no» dei ministeri. E basta una scorsa ai temi in gioco, cioè ambiente, lavoro, sanità, infrastrut­ture e cultura, per capire che tutti gli stop sono arrivati dai Cinque Stelle.

Cinque Stelle che a sorpresa sembrano invece cedere su un altro fronte caldo per gli enti territoria­li: il ritorno delle province vecchia maniera, con competenze accresciut­e ed elezione diretta di presidenti e consigli. A spingere, al tavolo sulla riforma degli enti locali, è la Lega. Ma nella riunione di ieri la sottosegre­taria all’Economia Laura Castelli riconosce che «il tema del sistema di elezione di questi enti deve essere affrontato, e non può essere slegato dalle funzioni che esercitano».

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