L’aumento delle differenze e i contrappesi da prevedere
Aseguito delle iniziative intraprese dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, la questione di un riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario è ormai emersa nel dibattito politico-istituzionale del nostro Paese.
Così, sembra essere pronta ad entrare in Parlamento, tramite un disegno di legge governativo rispettivamente per ciascuna delle tre Regioni in questione, la scelta politica di attribuire forme differenziate - cioè rafforzate - di autonomia a quelle prime tre regioni che lo hanno chiesto (già seguite da Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria e Marche), pur rimanendo ferma al momento la distinzione tra autonomie ordinarie e autonomie speciali.
In tal senso, si possono fare alcune prime valutazioni.
Il principio di uniformità di trattamento dei diritti dei cittadini sul territorio nazionale vedrà ridurre, innanzitutto, i suoi spazi in favore di una articolazione differenziata, appunto, sul territorio. A presidio rimarranno, naturalmente, tanto i limiti costituzionali “comuni” all’asimmetria dell’autonomia regionale, agglutinati primariamente intorno alla competenza esclusiva dello Stato riguardo alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (ex lettera m dell’art. 117 Cost.), così come intorno a quanto la Corte costituzionale ha inteso garantire in oltre diciotto anni di giurisprudenza. E tuttavia, la rottura del “culto per l’uniformità” modificherà inevitabilmente il panorama del regionalismo italiano, mettendo in questione – senza ipocrisie – pure lo stesso concetto di specialità che storicamente qualifica, come noto, cinque tra le 20 regioni italiane.
Al tempo stesso, la specializzazione diffusa che emergerà dovrà essere tenuta insieme tramite il principio di leale collaborazione, di solidarietà e di sussidiarietà, favorendo comunque, dentro la valorizzazione della differenza, un unitario principio repubblicano di elementi non differenziabili.
Infine, l’introduzione di un’autonomia differenziata porrà, con ancora più chiarezza, la necessità di un baricentro stabile alla nostra Forma di Stato, richiedendo la presenza costituzionale delle autonomie nel Parlamento nazionale, tramite la riforma del Senato; d’altronde, sarebbe ben strano che, proprio un Paese così differenziato e multiforme, mantenesse la Conferenza Stato-Autonomie come luogo principale di confronto politico, pur non avendo quell’istituzione, come noto, le stesse garanzie democratiche ed istituzionali tipiche di un’Assemblea parlamentare.
Su questo potenziale sfondo, si pongono poi alcune questioni più specifiche, a partire dal metodo di approvazione di un disegno di legge che, proprio in ragione di una mancanza di una disciplina attuativa, non può non favorire un libero confronto nella dinamica parlamentare comprese forme di emendabilità rispetto all'intesa raggiunta; d'altronde, una chiusura “a riccio” non farebbe altro che alimentare i timori - mai ingiustificati in casi del genere - per la tenuta unitaria del Paese.
Le materie oggetto del negoziato sono poi una grande occasione di confronto con il Paese, con le sue fatiche e le ansie, posto che già ora – per esempio in tema sanitario e farmaceutico – le asimmetrie si fanno sentire sui cittadini. Non capire ciò, è un errore. E poi il tema dei costi, il cui rischio è quello di non vedere, dentro l'analisi della spesa storica, i disequilibri atavici di un Paese, oggi pure in recessione.
Insomma, riprendere il cammino delle riforme è opportuno. Ma più si allarga lo sguardo, e ci si apre al confronto, più esse troveranno la forza necessaria per andare avanti.