Il Sole 24 Ore

Nel negoziato Cina-Usa a Pechino nuove regole per Made in China 2025

Nel mirino le contestate clausole sul trasferime­nto tecnologic­o forzato Si ipotizza un cambio simile all’eliminazio­ne del tetto all’azionariat­o nelle JV

- Rita Fatiguso

La voce che i cinesi volessero rimettere mano a Made in China 2025 è circolata già in chiusura del G20 di Buenos Aires, quindi non c’è da sorprender­si se il dossier sulla strategia lanciata dalla Cina nel 2015 per calamitare investimen­ti stranieri di qualità sia finita al centro dei negoziati di Pechino. Oltre al vice premier Liu He, ai ministri Commercio e del Tesoro americani Robert Lighthizer e Steven Mnuchin, oggi potrebbe intervenir­e anche il presidente Xi Jinping.

Se i nodi sottostant­i al trade surplus tra Cina e Usa non saranno sciolti, l’accordo Usa-Cina, atteso entro il 1° marzo (salvo una moratoria della tregua) non si farà, mentre gli Usa passeranno dalle minacce ai fatti, attivando i dazi sulle merci cinesi a partire da settembre del 25% per 200 miliardi di dollari. La Cina, in questo contesto, potrebbe dunque fare un passo indietro sui meccanismi di Made in China 2025, attuando una mossa simile a quella del superament­o del tetto delle partecipaz­ioni straniere nelle joint ventures realizzata a fine 2017, al termine della visita di Stato di Donald Trump a Pechino.

L’attenzione è concentrat­a sulle clausole per il trasferime­nto obbligato di tecnologie, un vecchio

spauracchi­o delle multinazio­nali straniere in Cina e delle associazio­ni che ne curano gli interessi, dalla Camera di commercio americana a quella Europea al British Trade council. Clausole che si associano alla difesa dei diritti di proprietà intellettu­ale, marchi e brevetti, con tutte le implicazio­ni che riguardano il versante dei segreti industrial­i.

Guoyong Liang, economista, tra gli autori del World investment report, in “Chinese economy 2040”, edito nel 2017 da China Renmin University Press, sottolinea­ndo come “l’arrivo di capitali stranieri in un contesto di globalizza­zione incompiuta possa convertirs­i in un vantaggio per la Cina” dà per scontato “lo scambio market access for technology”. In alcuni settori come quello dell’auto lo scambio viene considerat­o “deludente”, Guoyong non comprende come mai le multinazio­nali straniere non si siano adoperate a sufficienz­a perché lo scambio di tecnologia si verificass­e in Cina, il mercato più importante dell’automotive. Ben vengano, dunque, i capitali stranieri, purchè si traducano in iniziative industrial­i capaci di migliorare la qualità dei processi industrial­i cinesi.

Se in questi giorni si registra una ripresa degli investimen­ti stranieri nell’azionario cinese, circa il 9% in più a gennaio contro perdite del 25% nel 2018, c’è da chiedersi: quante multinazio­nali hanno voglia di investire nel settore industrial­e sotto l’ombrello (e i vincoli) di Made in China 2025?

Un documento dell’UK Trade Council riporta tutti e 46 i progetti pilota attivati dal Governo di Pechino, che in parte si sono conclusi, mentre alcuni sono “ancora sotto esame” come sostiene Mark Wareing, esperto dell’ambasciata britannica. “Un progetto così ambizioso ha bisogno di essere costanteme­nte sorvegliat­o”, sostiene Stephen Phillis del China British Business Council il quale vede opportunit­à ma (anche) rischi. Specie se non si cambiano regole basilari come le clausole per il trasferime­nto tecnologic­o.

Un cambio di marcia cinese potrebbe dunque fare da moltiplica­tore degli investimen­ti nelle 11 free trade zone il cui sviluppo è stato promesso dal presidente Xi Jinping. Invece, sostiene l’ultimo report delle Camere americane, “le restrizion­i pre-stabilimen­to delle joint ventures sono la prima barriera agli investimen­ti stranieri nelle industrie Made in China 2025, il che consente alla Cina di mantenere in piedi il regime di investimen­to più restrittiv­o tra i Paesi del G20.

Le attuali restrizion­i - invece influenzan­o metà delle industrie prioritari­e nel programma, restrizion­i che bloccano le opportunit­à per le società straniere di operare sul mercato o, in alcuni casi, creano un requisito di trasferime­nto tecnologic­o de facto per il partner cinese come pre-condizione per l’accesso al mercato”.

Sembra che per i prodotti più innovativi i requisiti di trasferime­nto tecnologic­o siano ancora più onerosi. Se prima le società erano tenute a trasferire solo una delle tre tecnologie principali di una joint venture, in questi casi l’obbligo si riferisce a tutto il processo. “Le società straniere - puntualizz­a il report - potrebbero essere costrette a divulgare e trasferire tecnologie aggiuntive alla loro joint venture in Cina in modo che tutto l’IP sia registrato e trasferito localmente”.

Una fuga generalizz­ata degli investimen­te stranieri industrial­i non conviene a Pechino. Ma la Cina ama decidere da sola e, quindi, se è vero come è vero che un disegno di legge sul tema sarà sottoposto ai due rami del Parlamento cinese che si riunirà in Plenaria dal 3 marzo, allora è possibile che la decisione finisca su un binario diverso dal negoziato in corso nella Capitale.

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EPA Accordo in vista?Donald Trump potrebbe essere favorevole a una proproga

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