Comuni, stop ai ripiani in 30 anni per le anticipazioni anti-crisi
Illegittima la norma che allungava i tempi per restituire i prestiti
È incostituzionale scaricare sul futuro i deficit di oggi. Con la sentenza 18/2019 la Corte costituzionale (presidente Lattanzi, redattore Carosi) lancia una bordata contro una delle pratiche più frequenti dei nostri conti pubblici: il rinvio dei problemi sulle spalle di chi arriva dopo.
A cadere sotto i colpi dei giudici costituzionali è una norma (la sua ultima versione è scritta al comma 434 della manovra 2017, legge 232/2016) che permette ai Comuni e alle Province in crisi di restituire in 30 anni i prestiti statali ottenuti per avviare i piani di risanamento.
Sul piano tecnico, la questione riguarda le amministrazioni in «predissesto», il meccanismo introdotto nell’estate del 2012 dal governo Monti per evitare il rischio di fallimenti a catena negli enti locali del Sud proprio mentre lo spread in salita verso quota 575 punti rendeva i nostri conti pubblici gli osservati speciali sui desk finanziari di tutto il mondo. Da Napoli a Catania (ora in default), da Foggia a Caserta, da Reggio Calabria a Messina, sono stati centinaia i Comuni a salire sul treno anti-crisi. L’impianto originario prevedeva la possibilità di ottenere un’anticipazione dallo Stato, da restituire in 10 anni nel corso dell’attuazione di un piano di riequilibrio fondato su tagli obbligatori di spesa e aumenti automatici di tributi. Le quote restituite di anno in anno avrebbero finanziato le anticipazioni ai nuovi enti in crisi.
Ben presto però si è visto che questo fondo rotativo non ruotava molto, perché le restituzioni a rate zoppicavano. Di qui un’infinità di correttivi per bloccare le sanzioni (il dissesto in caso di verifica negativa della Corte dei conti) e allungare i tempi delle restituzioni. Fino a 30 anni, come previsto dalla norma cancellata ieri dalla Corte costituzionale. La dilatazione del calendario permette di abbassare le rate annuali, senza modificare i piani di pagamento dei creditori. In questo modo consente nei fatti di utilizzare le anticipazioni, cioè un debito, per finanziare spesa corrente, violando la «regola aurea» scritta all’articolo 81 della Costituzione. E mettendo in mora il «buon andamento» della Pa tutelato dall’articolo 97.
Nello specifico, questa chance ha riguardato gli enti che avevano approvato il piano di riequilibrio prima di effettuare il «riaccertamento straordinario» dei residui, cioè l’operazione imposta dalla riforma contabile a tutti gli enti locali, in crisi e non, per cancellare dai bilanci le vecchie entrate mai riscosse e ormai impossibili da recuperare. Ma proprio questo collegamento è un’aggravante sul piano sostanziale. Perché il riaccertamento straordinario ha permesso a tutti gli enti locali di ripianare in 30 anni i deficit creati dalla cancellazione dai conti delle entrate ormai irrealizzabili. Anche qui, dunque, si registra la «lunghissima dilatazione temporale» che per la Consulta «finisce per confliggere con elementari principi di equità intergenerazionale».