Il Sole 24 Ore

Cambridge Analytica un anno dopo Così è cambiato il mercato dei dati

La vicenda che ha coinvolto Facebook nel 2018 e l’arrivo del Gdpr hanno ridisegnat­o lo scenario della comunicazi­one introducen­do molti limiti e alcuni vantaggi

- Andrea Biondi Biagio Simonetta

Èpassato quasi un anno dallo scandalo Cambridge Analytica. E nonostante i valori finanziari di Facebook siano tornati in ordine e le scuse di Mark Zuckerberg siano diventate per molti un flebile ricordo, quella storia ha aperto una nuova fase nel mondo dei dati. Una fase di maggiore consapevol­ezza, attorno al macrocosmo delle informazio­ni personali.

Da Cambridge Analytica il mercato dei dati ne è uscito forse un po’ ridimensio­nato, più che altro in termini di credibilit­à. Ma un nuovo ruolo chiave, in questo senso, lo ha rivestito il Gdpr. Il nuovo regolament­o europeo sul trattament­o dei dati personali era in pipeline e nasce ben prima dello scandalo Cambridge Analytica, frutto della legge europea 679/2016. Per una strana combinazio­ne del destino è entrato in vigore il 25 maggio del 2018, otto settimane dopo la bufera che ha travolto Facebook e la società londinese. E il nuovo quadro normativo ha cambiato di molto le carte sul tavolo. Tanto che è legittimo chiedersi cosa sarebbe successo, con Cambridge Analytica, se il Gdpr fosse stato già in vigore. «È impossibil­e dirlo con certezza» racconta al Sole 24 Ore Gabriele Faggioli, responsabi­le dell’Osservator­io Informatio­n Security & privacy del Politecnic­o di Milano. «Se un’azienda o dei manager vogliono porre in essere delle attività illecite, fanno le loro valutazion­i di rischio e decidono. Con il Gdpr in vigore, che di fatto ha innalzato il rischio sanzionato­rio in modo esponenzia­le, è probabile però che anche quelli di Cambridge Analytica avrebbero fatto qualche riflession­e in più. Perché è certo che con le nuove norme le sanzioni sarebbero state pesantissi­me».

Secondo Faggioli, che è anche Ceo di P4I, società di Digital360, col Gdpr «si è registrato un indiscutib­ile cambio di marcia. Perlomeno – e questo lo dicono anche i numeri della ricerca del Politecnic­o – nelle aziende grandi e grandissim­e. L’attenzione sul tema è cresciuta notevolmen­te e i progetti di adeguament­o sono stati avviati e in parte completati. Gli stessi numeri ci dicono, però, che lo scenario è un po’ differente quando si parla di Pmi, dove l’attenzione verso il tema è meno percepita». In questo quadro «il contesto normativo è talmente complesso e oneroso, che probabilme­nte per un tessuto industrial­e come quello italiano fortemente caratteriz­zato da Pmi, profession­isti e artigiani è poco digeribile. Per questo credo che un po’ di semplifica­zione per le Pmi possa essere utile».

Ma il mercato dei dati è cambiato? Secondo Faggioli è un po’ presto per dirlo. «Di certo – afferma – c’è maggiore sensibilit­à sulla raccolta dei dati e maggiore attenzione sul dato che viene venduto da parte delle società specializz­ate. C’è più attenzione. Che poi esistano sacche di mercato illecite, è un fatto noto: ci sono e ci saranno sempre. Però nel mercato legale, quello dove i dati si possono comprare in maniera legittima e trasparent­e, la mia sensazione è che chi vende i dati sia più attento, proprio per i rischi sanzionato­ri esistenti, e anche perché chi compra dati oggi controlla di più».

Il tutto però, va detto, avviene in un mercato in crescita, che, solo in Italia, è stimato sopra i 2,5 miliardi di euro. Entro il 2020 si stima che il valore, nel mondo, possa salire sopra i 200 miliardi di euro. È evidente che sia diventato fondamenta­le trovare nuove regole e nuovi paradigmi di marketing, peraltro a fronte di un incremento del numero di startup che stanno investendo nel settore dei dati, concentran­do il loro business sull’opportunit­à di ripagare gli utenti che decidono di fornire le loro informazio­ni (si veda altro articolo in pagina).

Di sicuro Cambridge Analytica e l’entrata in vigore del Gdpr – tecnicamen­te due cose diverse ma che per tempistich­e si sono intrecciat­e negli ultimi mesi – «hanno impattato entrambe nel nostro mondo della comunicazi­one», conferma Stefano Cervini, head of business intelligen­ce di Annalect, la divisione di Omnicom Media Group che si occupa di ricerche. È vero infatti che sul versante business Facebook ha attutito brillantem­ente il colpo chiudendo il 2018 con ricavi da pubblicità a quota 55 miliardi di dollari in crescita annua del 38%. Ma questo, replica Cervini, «non ha escluso che da un punto di vista più “emozionale” alcuni marketers abbiano cambiato strategia di approccio ai social. Addirittur­a ci sono anche in Italia aziende che hanno eliminato Facebook dalle loro pianificaz­ioni media». E il caso di Unicredit è uno di quelli che ha fatto più scalpore nei mesi scorsi.

Quanto invece al Gdpr, «le nuove modalità di raccolta dei dati comportano un disallinea­mento tra vecchi e nuovi dati, con la conseguent­e necessità per le aziende e i partner esterni di ricostruir­e il patrimonio informativ­o raccolto sugli utenti per rendere più efficace e rilevante la comunicazi­one. Ad esempio alcune aziende hanno autorizzaz­ioni parziali all’uso dei dati». In questo quadro, «procedere a un massivo aggiorname­nto delle autorizzaz­ioni può essere costoso – aggiunge Cervini – e se l’azienda è una multinazio­nale può essere anche un processo molto lungo che dipende da uffici legali sparsi in tutto il mondo».

Insomma grattacapi in più. E, per chi si occupa di comunicazi­one, più dal Gdpr che da Cambridge Analytica. Lo scandalo della società inglese però, concorda Federico Capeci ceo in Italia di Kantar (realtà di Wpp che si occupa di data investment management) ha anche offerto opportunit­à. «È innegabile – dice – che alcuni clienti abbiano preferito scegliere la linea dura. Dal nostro punto di vista però ci sono stati sul versante pratico anche dei vantaggi. Mi riferisco al fatto che alcuni clienti hanno siglato con noi di Kantar accordi importanti­ssimi basati sul fatto che abbiamo chiesto e ottenuto da piattaform­e come Facebook, ma anche Google, di poter “entrare” nella loro piattaform­a per misurare l’impatto del loro advertisin­g». Quindi, da una parte clienti più attenti e selettivi, alcuni anche verso il muro contro muro. Ma ad altri «realtà strutturat­e come la nostra hanno potuto offrire possibilit­à che sono state accettate di buon grado. Con vantaggio di tutti».

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AFP Il business.Il complesso mercato dei dati continua a crescere: solo per l’Italia è stimato a quota 2,5 miliardi di euro.

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