Parte la girandola dei rating: venerdì prossimo il primo giudizio su conti e crescita
Agenzie di rating, mercati e spread in agguato, scadenze imposte dal calendario europeo. È un percorso a ostacoli di quattro mesi (con appuntamento decisivo a settembre-ottobre) quello che attende il governo sul fronte dei conti pubblici. Nel mezzo, il rischio concreto che – stante l’andamento dell’economia e delle principali variabili di finanza pubblica – la Commissione europea tra giugno e luglio torni alla carica chiedendo una manovra correttiva. Si parte con Fitch che venerdì prossimo comunicherà le sue valutazioni sul nostro rating attualmente fermo a BBB con outlook negativo. A seguire il 15 marzo sarà la volta di Moody’s, che lo scorso ottobre ha tagliato il rating a BAA3 dal precedente BAA2 con outlook stabile. Infine il 26 aprile arriverà il giudizio di Standard&Poor’s che nella sua ultima valutazione di ottobre ha tagliato l’outlook da stabile in negativo mantenendo fermo il rating a BBB. Valutazioni che vanno a impattare direttamente sull’affidabilità e sostenibilità di medio periodo del debito sovrano, e dunque sul comportamento dei mercati e sull’andamento dello spread, che attualmente si aggira attorno ai 270 punti base (150 punti base in più rispetto a un anno fa). E proprio la nuova stima della spesa per interessi sarà una delle variabili maggiormente sotto osservazione all’interno del quadro macroeconomico che il Governo definirà con il Def di metà aprile. Con annessi i 23,1 miliardi di clausole Iva pronte a scattare dal prossimo anno.
Anche se si ipotizzasse un aumento dell’Iva limitato (per esempio un punto che per ora il governo esclude) resterebbero da recuperare altri 19 miliardi già iscritti nei saldi e destinati in gran parte a finanziare reddito di cittadinanza e quota 100.
Dove individuare le relative risorse è al momento un vero enigma, soprattutto se a questa somma si vanno ad aggiungere gli stanziamenti necessari a far fronte ai costi della prima parte della riforma Irpef cui sta lavorando in particolare la Lega. Se vi si sommano le rituali spese indifferibili e gli altri stanziamenti per provare a spingere un’economia che sta viaggiando diritta verso la recessione, la prossima legge di Bilancio potrebbe presentare un conto di circa 35 miliardi. Si salirebbe attorno ai 40 miliardi qualora tra la primavera e l’autunno si registrasse un’ulteriore crescita dello spread.
Con quali coperture? Pare realistico ipotizzare un intervento sulla spesa di tale entità, per di più concentrato in un solo anno? La valutazione di tecnici ed esperti in proposito è unanime: stante la “veduta corta” con cui si governa (e non è solo un problema dell’attuale esecutivo gialloverde), i margini per intervenire sulla spesa corrente primaria (che sulla carta vi sarebbero) si riducono pressoché a zero. Tagliare la spesa costa in termini di consenso, è un’operazione dal respiro quanto meno triennale da avviare a inizio legislatura (e non è stato fatto).
Potrebbe venire in soccorso la flessibilità europea? Arduo ipotizzarlo in presenza di un deficit strutturale che invece di mantenersi inalterato come promette il governo virerà probabilmente in negativo. In più vi è da mettere nel conto che se quest’anno non si incasseranno i 18 miliardi da privatizzazioni indicati in manovra il debito arresterà la sua discesa, già minacciata dalla contrazione del Pil.