Il Sole 24 Ore

Ma in Europa il mercato è molto più sobrio

- Maximilian Cellino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Vale circa 182 miliardi di euro e le sue dimensioni sono a malapena ritornate sui livelli precedenti alla crisi finanziari­a di 10 anni fa. Questo però non significa che il mercato delle collateral­ized loan obligation (Clo) europee non abbia al suo interno molti degli elementi che creano apprension­e negli Stati Uniti e che quindi sia del tutto immune dal rischio. La crescente popolarità di questo strumento fra gli investitor­i qualificat­i di vario livello e provenienz­a è anzi un elemento che chi ha il compito di sorvegliar­e i mercati fa bene a tenere sott’occhio.

Secondo le rilevazion­i Afme, nel 2018 sono stati emessi nel Vecchio Continente prodotti di questo genere - provenient­i cioè da processi di cartolariz­zazione e caratteriz­zati dalla presenza nel portafogli­o di crediti di banche e altre società - per un ammontare di oltre 81 miliardi, quasi 9 miliardi dei quali provengono da originator italiani. Cifre che nel complesso a livello europeo non si erano più viste dal 2009, ma non è tanto la quantità a destare preoccupaz­ione, quanto la qualità del sottostant­e (ciò che viene «impacchett­ato» nei Clo) al quale spesso non è sempliciss­imo risalire.

«Anche in Europa stiamo assistendo a un peggiorame­nto della qualità del credito dei leveraged loan sottostant­i e a una crescente evidenza di segnali di maturità del ciclo economico», avverte Florian Viros, analista del credito di Carmignac, sottolinea­ndo come i livelli del debito delle aziende che stanno emettendo questo tipo di strumenti «siano ormai comparabil­i a quelli del 2008» e invitando a «considerar­e i potenziali declassame­nti di rating da parte delle agenzie sui prestiti sottostant­i per avere una misura del deterioram­ento del credito».

La situazione non è comunque paragonabi­le a quella per certi versi allarmante degli Stati Uniti, per dimensione del fenomeno e neppure sotto altri aspetti. «Vi sono differenze significat­ive dovute sia alla regolament­azione, sia a logiche di mercato», conferma Emanuele Tamburrano, Analytical Manager Emea, Structured Credit and Cmbs di S&P Global Ratings, notando per esempio che «in Europa la risk retention per chi gestisce Clo è ancora applicabil­e, mentre non lo è più negli Stati Uniti». In altre parole, come in generale è previsto per le asset-backed securites (Abs), l’originator di un Clo è obbligato a trattenere una quota del 5% del rischio della cartolariz­zazione: una misura importante per limitare l’assunzione di rischi eccessivi e per evitare l’insidia di un modello puramente orientato alla distribuzi­one, che però negli Usa è stata abrogata lo scorso anno.

C’è poi da dire, come ricorda Viros, che il mercato dei leveraged loan europeo ha avuto una crescita molto più moderata «e la sua dimensione è circa la metà di quella del mercato highyield», in più «a differenza degli Usa non è esposto a settori problemati­ci e più volatili come quello delle materie prime». Per contro, aggiunge Tamburrano, «la regolament­azione del mercato statuniten­se è unica e molto più articolata, mentre l’Europa è un coacervo di diverse giurisdizi­oni, con regole differenti da paese a paese».

Nel mettere sulla bilancia i pericoli occorre in ogni caso notare come i Clo abbiano dimostrato di essere un prodotto con una certa «resistenza», a livello globale e in particolar­e in Europa dove il livello di insolvenza è stato inferiore all’1% negli ultimi 20 anni. «Un fattore chiave di tale performanc­e è che i portafogli sono tipicament­e granulari e ben diversific­ati in termini di emittenti, settore e paese», spiega ancora Tamburrano, ricordando come da quando il mercato è stato aperto soltanto 19 delle 2.466 tranche dotate di rating siano finite in default: un track-record migliore rispetto ad altri strumenti di credito rivolti alle aziende e con rating equivalent­e, che però rischia di riferirsi al passato.

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