Parigi cambia rotta sull’Oscar: vincono i format controcorrente
Domani sera l’«anti 50Best» con premi inediti assegnati ai ristoranti (non solo agli chef)
Per favore non chiamatela classifica. Joe Warwick e Andrea Petrini, i due ideatori, ne fanno un punto d’orgoglio. The World Restaurant Awards - che già molti indicano come l’anti 50Best - vuole solo essere «un appuntamento annuale che guarda al mondo della ristorazione ad ampio raggio, senza intenti classificatori o competitivi», riflettendo tutte le nuove forme di offerta gastronomica. Il fatto che entrambi siano stati colonne portanti della classifica attualmente più glamour e l’unica, insieme alla Michelin, a smuovere i fatturati dei ristoranti premiati è solo un dettaglio. «Del resto - ricorda Petrini - anche 50Best era nata come articolo del magazine inglese Restaurant, era una specie di playlist…». Lo stesso intento ironico lo si ritrova ora negli Awards che andranno in scena - in una serata simil Oscar - domani sera a Parigi.
Moltissimi i premi assegnati, massima copertura a tutte le forme di ristorazione, dal classico fine-dining alle formule più casual e innovative. «Alcuni Awards sono effettivamente ironici, un minimo sovversivi - concede Petrini - ma hanno sempre dietro un pensiero, sollevano un tema: se premiamo lo chef non tatuato, allo stesso tempo stiamo segnalando un cuoco che va per la sua strada, non segue le mode». Così come, quando si indicano i ristoranti che servono vino rosso, nasce una riflessione sul calo del consumo a favore dei bianchi, complici le indicazioni mediche e la sempre più massiccia presenza del pesce, spesso crudo, nei menù.
Ma ciò che sta più a cuore ai due ideatori del Wra è lo “scivolamento semantico”: non si premiano i cuochi ma i ristoranti. «Usciamo dalla dittatura degli chef» dice Petrini. Il critico italiano che vive a Lione ha da tempo una visione globale sul mondo del food. Organizza da anni Gelinaz, l’evento gastronomico più innovativo e globetrotter del pianeta, con incroci e scambi che mettono a confronto culture e saperi lontani anni luce. Ha appena inaugurato a Montpellier la seconda edizione di Cookbook, inedita commistione di cuochi e giovani artisti che si scambiano i mestieri con estemporaneità dadaista.
Dove va oggi la cucina internazionale? «Sta cercando formule più compatibili con i grandi cambiamenti della società. È più responsabile, attenta alla sostenibilità, alla gestione degli scarti, alla valorizzazione di prodotti locali. Dieci, vent’anni fa era accettabile che un cuoco utilizzasse un rombo di 10 chili per trarne solo i filetti, oggi non sarebbe più pensabile. È cambiata la sensibilità dei cuochi e dei clienti».
In quest’epoca c’è ancora spazio per la sperimentazione? «Dopo le grandi rivoluzioni oggi assistiamo al ritorno della convivialità, a un conformismo, anche gradevole, con piatti più codificati». Così si spiega la grande popolarità dei bistrot, il ritorno delle nostre trattorie.
L’unico rischio è che si passi dalla dittatura degli chef a quella dei social media. «Ma in alcuni casi è un veicolo per l’estetica dei cuochi, basta guardare i post del Noma che su Instagram pubblica crostacei giurassici…».